Milano. Un detenuto di 22 anni, Alessandro Gallelli, sabato pomeriggio si è impiccato all’interno del carcere di San Vittore. Era accusato di violenze sessuali e molestie ai danni di alcune ragazze minorenni e da quattro mesi si trovava nel carcere milanese in attesa di giudizio. Secondo quanto afferma l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, il 22enne “aveva più volte denunciato di avere subito violenze”. La direzione del carcere smentisce però la notizia, sottolineando che Gallelli si trovava in isolamento. Dall’inizio del 2012 sono dieci i detenuti che si sono suicidati in carcere, mentre in tutto sono 24 i decessi nei penitenziari italiani, di cui dieci per cause da accertare. Ilsussidiario.net ha intervistato Emanuele Pedrolli, direttore dell’Associazione Incontro e Presenza, attiva in cinque carceri milanesi. Sabato pomeriggio, mentre Gallelli si toglieva la vita, i volontari di Incontro e Presenza si trovavano proprio a San Vittore. Pedrolli ci racconta la sua esperienza all’interno di una realtà dura e difficile come il carcere.
Pedrolli, ha mai avuto a che fare con carcerati con gravi depressioni e in che modo è riuscito ad aiutarli?
L’Associazione Incontro e Presenza entra a San Vittore da 25 anni e ha incontrato veramente realtà di ogni tipo. Giriamo in tutti i raggi, incluso il secondo piano del sesto raggio, che è il reparto dove si trovano i detenuti accusati di reati come pedofilia e violenze sessuali, e che quindi non possono essere messi nei reparti comuni con gli altri carcerati. E ci rechiamo spesso anche nel Centro clinico, il reparto dove sono detenute le persone con problemi psichiatrici. Nella nostra esperienza ci è capitato spesso di incontrare persone con forti depressioni o con un equilibrio psicologico instabile. La direzione e il reparto educativo di San Vittore hanno ben presente questa problematica e di solito sono molto attenti nei suoi riguardi. In una situazione di sovraffollamento e di congestione del carcere può però capitare che avvenga qualche disattenzione.
Di solito quali sono i detenuti con maggiore propensione ad atti autolesionistici e in che modo è possibile operare per ridurne la frequenza?
Quello che vedo dalla nostra esperienza è che gli atti di autolesionismo sono tipici dei ragazzi giovani, soprattutto nel periodo iniziale della loro carcerazione. Noi spesso incontriamo persone con queste caratteristiche e la dinamica che seguiamo è sempre quella del proporre una compagnia, un rapporto di amicizia, perché questo dà speranza. Di solito chi cede a gesti inconsulti è perché non ha più speranza, si sente perso. La nostra modalità è invece quella di incontrare le persone e proporre un’amicizia. E mi accorgo che una compagnia di questo tipo, anche dentro al carcere, è l’unica che può dare una speranza e fornire le ragioni per cui stare di fronte a una situazione come quella.
Mi può raccontare un episodio da cui è rimasto colpito particolarmente?
Ho in mente il caso di amico incontrato due anni fa, che era stato arrestato quando aveva 21 anni mentre sua moglie stava partorendo, tanto è vero che suo figlio non lo ha mai visto. In carcere si era lasciato proprio andare, viveva passivamente, non partecipava all’ora d’aria, non aveva alcun interesse. Stando con lui e proponendogli un rapporto di amicizia, senza fare cose eccezionali, piano piano ha ricominciato a prendere fiducia in se stesso, comprendendo che non era determinato dal suo peccato. Aveva sbagliato, ma fuori c’era una società pronta ad accoglierlo. E quella società buona era rappresentata da noi volontari che eravamo lì con lui. Oggi quel ragazzo si trova fuori dal carcere, in un nostro appartamento agli arresti domiciliari, e pur vivendo tuttora in una situazione da recluso ogni volta che lo guardo è sempre più felice della sua vita.
Secondo lei perché Alessandro Gallelli si è ucciso?
Purtroppo Alessandro Gallelli non ha avuto nessuno accanto a sé. Tra l’altro si è ucciso proprio mentre i nostri volontari si trovavano a San Vittore. Sui giornali si è parlato anche di violenze cui Gallelli sarebbe stato sottoposto mentre era in cella, ma francamente queste cose a San Vittore non le ho mai viste accadere e ne dubito fortemente. Credo che si sia trattato semplicemente di una forma di depressione, perché di solito i compagni di cella sono i primi a sostenere e a dare una mano, c’è una grande solidarietà tra i detenuti.
Gallelli però si trovava in isolamento. Per la sua esperienza, questa circostanza di solito aggrava la depressione dei detenuti impedendo loro di incontrare altre persone?
A me è capitato anche di andare a trovare persone che si trovavano in isolamento. L’isolamento non significa non potere incontrare nessuno, ma semplicemente essere in cella da soli. La direzione di San Vittore è sempre molto attenta a questo aspetto e sa benissimo qual è l’importanza di un rapporto umano per qualsiasi detenuto. Probabilmente è stata sottovalutata la sua diagnosi, in quanto si trattava di una persona con una depressione molto forte e non c’è stato il tempo materiale per rendersene conto e intervenire. Non penso però che sia stato l’isolamento ad avere scatenato il suo suicidio, quanto piuttosto un senso di abbandono o forse chissà, di colpa. Sicuramente essere in cella con qualcuno è un fatto che aiuta, è nella natura dell’uomo relazionarsi e stare insieme ad altri, e in carcere questa cosa serve molto. Inevitabilmente quando c’è una persona a rischio suicidio, viene comunque messa sotto osservazione, cioè in un luogo dove è guardata a vista. Forse però Gallelli non aveva dato segnali di avere queste intenzioni. In carcere del resto c’è molta più umanità di quanto si possa pensare, gli stessi agenti interagiscono e parlano con i detenuti.
Oltre a lavorare all’interno di San Vittore, quali sono le altre attività di Incontro e Presenza?
Incontro e Presenza è composta da circa 100 volontari ed è attiva nelle cinque carceri dell’area milanese: San Vittore, Bollate, Opera, Monza e Beccaria. Oltre a progetti interni, gestiamo una serie di progetti esterni come le case di accoglienza, iniziative di sostegno alle famiglie dei detenuti e un banco di solidarietà.
(Pietro Vernizzi)