A complicare ulteriormente una situazione già di per sé critica, in cui trovare un lavoro è un’impresa non certo semplice, ci si mette anche il fatto che un laureato su quattro ottiene un’occupazione che non è all’altezza del curriculum. Sono i cosiddetti “overeducated” o “mismatched”, insomma coloro che, una volta trovato un lavoro, si ritrovano con un titolo di studio sostanzialmente inutilizzato. A renderlo noto è una ricerca condotta dal centro studi Datagiovani per il Sole 24 Ore, che ha registrato una proporzione doppia di laureati (26,8%) che lavora in mansioni “low skill” rispetto a coloro che si sono fermati alla maturità (13,4%). Il dato più rilevante riguarda le discipline umanistiche dove il 36% dei laureati è sottoccupato mentre, per esempio, solo l’8% dei medici in attività risulta avere questo problema. IlSussidiario.net ha chiesto a Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro presso la Bocconi, di commentare questi dati ma non solo. «Bisogna innanzitutto fare una considerazione – spiega Del Conte -: la sovraistruzione dipende sostanzialmente da un “mismatch” tra il tipo di istruzione che viene erogato oggi ai nostri laureati e la domanda del mercato. Non bisogna interpretare questo dato come un numero esagerato di laureati in Italia perché il vero problema è un altro: in Italia abbiamo troppe lauree inutili e l’utilità va misurata sulla base della richiesta del mercato. Abbiamo troppi laureati in discipline che non vengono di fatto assorbite dalla domanda attuale e questo porta alla frustrazione di giovani e famiglie che hanno investito risorse e tempo su un corso di studi e che si vedono di fatto proporre una carriera che non c’entra nulla col tipo di studi effettuato».
E’ un problema molto grave, continua a spiegare Del Conte, «perché rappresenta una vera dispersione delle nuove generazioni e dei nuovi talenti. Se permettiamo il dilagare di questo fenomeno, peraltro in un momento difficile come quello attuale, rischiamo davvero di bruciare una intera generazione di giovani. Lo affermo con forte preoccupazione perché, nonostante tutti noi speriamo che la crisi possa passare il prima possibile, ad oggi nessuno scommetterebbe su una ripresa prima del 2017. Se poi teniamo conto del fatto che sono già 5 anni che siamo in recessione il rischio vero è di andare a creare una voragine occupazionale di questa generazione che poi, alla ripresa dell’economia, resterà fuori dalle assunzioni perché a quel punto le imprese andranno a cercare i neolaureati».
Secondo il professor Del Conte è necessario dunque «attuare un forte lavoro di riallineamento tra offerta formativa e domanda del mercato e sono convinto che un ruolo fondamentale debba essere assegnato anche alla scuola. Purtroppo uno dei problemi che riscontriamo più spesso, che poi si riflette sull’università, è l’assenza di ogni forma di orientamento da parte della scuola sul futuro percorso di studio del giovane. Nessuno offre adeguate indicazioni e nessuno si preoccupa di fare un bilancio dei talenti e delle competenze dei maturandi, con la conseguenza che i giovani si iscrivono a corsi che non sono richiesti dal mercato e che non seguono le loro naturali attitudini. Ecco che riscontriamo allora un tasso di abbandono molto elevato rispetto alla media europea e purtroppo, ma va detto anche questo, dei cattivi laureati che il mercato non assorbe. Il problema risiede dunque in questo disallineamento con il mercato e con i talenti personali del giovane ed è proprio su questi aspetti che il nostro Paese deve agire al più presto».
Chiediamo al professor Del Conte anche i dati relativi all’Indagine sul mercato del lavoro dell’area milanese condotta dal Centro Studi di Assolombarda, secondo cui a Milano “si concentra una folta élite professionale, la partecipazione femminile è ampia e qualificata, i livelli di scolarizzazione sono elevati”. «E’ senza dubbio un dato importante – conclude Del Conte – ma credo che anche in questo caso l’investimento in conoscenza vada fatto seguendo le capacità dei giovani. Insomma, è giusto in generale elevare il tasso culturale dei nostri giovani ma è fondamentale accompagnare le loro attitudini. Per fare un esempio, questa è una delle caratteristiche più interessanti del sistema educativo tedesco: in Germania non si può accedere a una certa università se lo studente non ha dimostrato attitudini specifiche nel corso di studi precedente. Naturalmente un sistema così rigido non è applicabile in Italia ma perlomeno si potrebbe agire per aiutare i giovani a orientarsi verso percorsi di studio a loro più consoni».
(Claudio Perlini)