Realizzare un modello di welfare all’avanguardia e che sappia valorizzare le esperienze del territorio responsabilizzando al contempo ogni livello istituzionale secondo le specificità e le differenze. È questo l’obiettivo che si prefigge il nuovo “Patto per il Welfare” allo studio della Regione Lombardia. Per realizzare un sistema sussidiario interamente concepito sulla corretta e precisa valutazione dei bisogni concreti di assistenza delle persone: giovani e anziani, bambini e famiglie. E con un occhio alle disponibilità economiche della regione in tempi di crisi e tagli dei trasferimenti statali. A descrivere il Patto è Roberto Albonetti, Direttore generale della Direzione Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale della Regione Lombardia.
Per delineare il nuovo “Patto per il Welfare” la Giunta ha avviato una consultazione pubblica e incontri sul territorio, inaugurando un metodo del tutto innovativo. Quali sono le problematiche più frequenti che avete riscontrato in queste audizioni?
La Giunta ha preso atto di un fatto: il sistema di welfare che in Italia si è andato costituendo dal dopoguerra ad oggi mostra segni di cedimento molto preoccupanti sia dal punto di vista della sostenibilità economica sia come capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini e delle famiglie, che sono in continua modificazione. Per affrontare questa situazione, aggravata dalla crisi, gli strumenti del passato non bastano più. Occorre un grande patto generazionale, che ponga le basi per garantire alle generazioni future gli stessi livelli di sicurezza e assistenza che ci sono oggi, seguendo però strade e modelli nuovi. Per questo si è pensato di avviare un percorso di coinvolgimento ampio, andando direttamente sui territori, incontrando i Comuni, le ASL, le Parti Sociali, il Terzo Settore e tutti gli attori, profit o non profit, pubblici o privati, che potessero fornire contributi, idee, energie, risorse per questo progetto di riforma. Ovviamente le modalità in parte inedite della consultazione, e i tempi inevitabilmente ristretti, hanno destato qualche preoccupazione iniziale, ma abbiamo trovato soprattutto grande disponibilità e apprezzamento per la volontà della Regione di non subire passivamente le circostanze, ma di governare e guidare il cambiamento. Il problema più sentito, specialmente dai Comuni, che sono in prima linea nelle politiche sociali, resta la carenza di risorse.
In che cosa consiste questo “patto per il Welfare” e quali sono i suoi punti di forza?
Il Patto che andiamo a condividere sul territorio vuole essere una piattaforma che detti i principi e le priorità per la riforma del sistema lombardo di welfare, e dovrebbe sfociare in una nuova legge. L’elemento più importante è senza dubbio il passaggio da un sistema puramente assistenziale ad un welfare della responsabilità, in cui sia riconosciuta e valorizzata la capacità degli individui, delle famiglie, delle associazioni, delle reti, di essere attivi e propositivi, di diventare protagonisti nella costruzione delle risposte ai bisogni che emergono nella società. Questo significa intervenire in profondità sul funzionamento del sistema, perché occorre prima di tutto dotarsi di strumenti che permettano una efficace valutazione dei bisogni delle persone e da lì rimodulare la programmazione dell’offerta, sulla base di una vera libertà di scelta dei cittadini, semplificare le modalità di accesso ai servizi, integrare le fonti di finanziamento e commisurare le richieste di compartecipazione alle famiglie secondo un criterio di equità.
Come affrontare i tagli imposti dalla spending review che preoccupa i vostri interlocutori (sindaci, rappresentanti delle varie associazioni di categoria, i sindacati)?
I tagli delle risorse di provenienza nazionale sono iniziati già da tempo, con l’azzeramento del Fondo per le non Auto sufficienze e la decurtazione del Fondo Nazionale per le politiche sociali. Regione Lombardia ha cercato di arginarne gli effetti, facendo uno sforzo per riportare il Fondo Sociale Regionale alla dotazione di 70 milioni di euro, un’azione molto apprezzata dai Comuni. Ora bisognerà valutare gli effetti degli annunciati tagli al Fondo Sanitario Nazionale, che finanzia anche servizi fondamentali per anziani e disabili. Da parte nostra, ciò che occorre fare è prima di tutto eliminare ogni residua sovrapposizione o duplicazione di interventi, rendere la spesa efficiente, razionalizzare la distribuzione delle funzioni e lavorare al massimo per l’integrazione tra sociale e socio-sanitario. Poi nei territori bisogna guardare a chi ha saputo fare rete, a chi ha introdotto strumenti di gestione associata, a chi ha saputo coinvolgere risorse di diversa provenienza, perché a volte quello che da soli non si riesce a sostenere è possibile farlo insieme ad altri. Infine, inevitabilmente, occorre chiedere per alcuni servizi la compartecipazione delle famiglie, però garantendo la massima attenzione alle effettive condizioni economiche e di vita di ogni nucleo familiare. È il motivo che ci ha spinto a introdurre il Fattore Famiglia Lombardo.
Sebbene il welfare lombardo sia un sistema virtuoso, quali sono i punti deboli da affrontare e correggere attraverso il nuovo “Patto per il Welfare”?
Alcuni dei limiti che andiamo ad affrontare sono di carattere generale e investono strutturalmente tutto il welfare italiano: l’invecchiamento della popolazione, con il conseguente aumento delle non auto sufficienze e dei problemi di cronicità, il calo demografico, l’indebolirsi delle relazioni che genera maggiore vulnerabilità sociale, sono elementi che rendono improrogabile questa riforma. Regione Lombardia ha già iniziato a sperimentare alcuni strumenti che potessero favorire la libertà di scelta dei cittadini, una maggiore personalizzazione dei servizi, lo spostamento del baricentro dall’offerta alla domanda, per attivare nuove energie nel welfare. Ma ci sono ancora diversi elementi critici da affrontare, riconducibili a un’apertura ancora troppo limitata alla competizione tra erogatori, con scarso incentivo al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza, ad una forte disomogeneità nell’accesso delle famiglie ai servizi e ad una integrazione ancora insufficiente fra i diversi interventi, specialmente tra socio-sanitario e sociale. Per questo occorre una riforma di sistema, che razionalizzi la governance, semplifichi l’accesso ai servizi e favorisca la specializzazione degli operatori e delle strutture rispetto ai diversi bisogni.
Qual è il significato che il sistema lombardo attribuisce alla sussidiarietà in vista della stesura del patto?
La sussidiarietà è uno dei principi cardine della riforma ed è intesa nel suo senso più ampio: sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale. Questo significa da un lato rileggere il funzionamento della rete di welfare in ottica di sistema, chiarendo i ruoli e le responsabilità propri dei vari livelli istituzionali, Regione e Comuni soprattutto, e di enti strumentali quali le ASL. Ai Comuni, che sono più vicini ai bisogni dei cittadini, chiediamo di svolgere un ruolo di “imprenditori di rete”, cioè di facilitatori e moltiplicatori delle relazioni positive che esistono sul territorio. E qui entra in gioco la sussidiarietà orizzontale, perché nel modello di welfare che Regione Lombardia vuole promuovere le risorse e le prestazioni non provengono più solo dalle istituzioni pubbliche, ma anche dal coinvolgimento attivo del mercato, del terzo settore e delle stesse famiglie.
Sono state avviate, in questo periodo, molte sperimentazioni che hanno al centro la famiglia. Quali sono?
Attualmente sono in corso diverse sperimentazioni propedeutiche alla riforma del welfare. Ad aprile abbiamo aperto alla sperimentazione di nuove unità di offerta in diverse aree (minori, anziani e persone non autosufficienti, dipendenze, consultori familiari), per andare incontro a quei bisogni di assistenza che non trovano risposta nell’attuale rete d’offerta. Da luglio, poi, abbiamo esteso a tutte le ASL lombarde la sperimentazione sull’assistenza domiciliare integrata, che introduce un nuovo modello di valutazione dei bisogni di assistenza delle persone, tenendo in considerazione non solo la situazione clinica, ma anche quella ambientale e familiare. Infine, sono stati selezionati i 15 Comuni in cui andremo a sperimentare il Fattore Famiglia Lombardo, un nuovo strumento che supera i limiti dell’ISEE, permettendoci di avere un quadro più accurato della condizione economica dei cittadini, perché oltre a reddito e patrimonio andiamo a valutare i carichi di cura sostenuti (numero di figli, presenza di persone anziani, casi di disabilità).
Con quali strumenti state affrontando l’invecchiamento della popolazione e l’eccessiva centralizzazione del sistema?
Non c’è in Lombardia un problema di eccessiva centralizzazione del sistema, perché la sussidiarietà è principio guida dell’azione regionale da quasi vent’anni. Ciò che stiamo cercando di fare è, invece, raccogliere e integrare, mettendole a sistema, le esperienze positive che in questi anni sono state sviluppate sui territori, affinché diventino una ricchezza per tutti. L’invecchiamento della popolazione, con tutte le sue conseguenze, è certamente uno dei nodi cruciali del welfare. In questi anni Regione Lombardia ha investito moltissimo sul sistema di offerta e ha oggi una rete di 650 Residenze Sanitarie Assistenziali, che garantiscono 57mila posti letto accreditati, più della metà di tutti quelli disponibili in Italia. Ma il ricovero non è sempre la scelta più appropriata, bisogna lavorare affinché le persone possano restare a casa, nel proprio ambiente di vita, il più a lungo possibile. Per questo abbiamo avviato la sperimentazione sull’ADI e stiamo favorendo la sperimentazione di nuove forme di residenzialità leggera, con l’obiettivo di andare incontro ai bisogni delle famiglie, che nel tempo cambiano e si modificano.