Un errore che potrebbe costare molto caro. Un vizio di forma, tale da far decidere alla Cassazione di annullare il deposito delle motivazioni della sentenza del processo milanese “Infinito” sulle cosche della ‘ndrangheta in cui sono state condannate 110 persone. Il fatto è che il gup di Milano Roberto Arnaldi, che aveva ricostruito l’operato delle 15 cellule in tutta la Lombardia, aveva depositato la sentenza in due tempi. Pare che per un banale errore legato a una fotocopiatrice, il capitolo riguardante il trattamento sanzionatorio non era stato depositato con il resto del dispositivo. Per il momento, gli imputati restano in galera. Il problema è che i termini per la carcerazione preventiva scadranno ad aprile, e non è ancora chiaro quali saranno le ripercussioni della decisione della Cassazione sull’esito del processo. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Luca Fazzo, cronista giudiziario de Il Giornale.
Come può reagire un cittadino di fronte a episodi del genere?
Di fronte a tutti gli episodi di questo genere, non ci si può attendere che gli errori non accadano. Ma che siano rimediabili. Ciò che è gravissimo è che l’errore di un singolo giudice non abbia trovato nessun genere di controllo prima di arrivare a una catastrofe come quella che rischia di diventare la sentenza della Cassazione.
Come si è giunti a questo?
Esiste nel nostro codice una stortura tale per cui reati da quattro soldi vengono giudicati da tre giudici, mentre reati giganteschi come questi vengono affidati a un singolo magistrato. Ricordo, ad esempio, che il giorno della sentenza, Arnaldi non riusciva a uscire dalla camera di consiglio perché, in qualche modo, era sovrastato dalla mole dei problemi che gli erano stati posti. Le conseguenza successive sono figlie della solitudine in cui si è trovato. Capita che in molti processi, specialmente in quelli di cui non importa nulla a nessuno, il giudice si ritrovi in queste situazioni.
Quindi, quando avvengono errori di questo tipo, i giudici non hanno colpe?
Non direi. Gli esempi potrebbero essere tanti. Le cito, per esempio, il caso Abu Omar, dove il giudice dovette affrontare un caso di ordine planetario senza neanche potersi confrontare con i colleghi. La colpa è della struttura, dell’ordinamento e delle storture delle leggi.
Non crede che esistano numerosissimi casi, testimoniati dal gran numero di sentenze delle Cassazione che annullano quelle pronunciate in appello, in cui gli errori dei giudici andrebbero sanzionati, magari introducendo la responsabilità civile per i magistrati?
No. Già oggi c’è una categoria in Italia che, a causa dell’ondata di cause a cui è stata sottoposta, ha smesso di prendersi responsabilità, ed è quella dei medici. Se si facesse lo stesso con i magistrati accadrebbe lo stesso. Si ridurrebbero al quieto vivere, senza prendersi rischi. Non si può pensare, in particolare, di punire un magistrato la cui decisione è stata modificata nell’iter fisiologico del processo. Casomai, va punito, con sanzioni, e pesantemente, quel magistrato che si è disinteressato del processo, che ha lavorato con leggerezza o, addirittura, in malafede. Tuttavia, si tratta di fenomeni marginali.
La cosiddetta magistratura politicizzata, quindi, è minoritaria?
Senz’altro. Il sistema, nel suo complesso regge. Se Silvio Berlusconi, ad esempio, può dire che è sempre stato assolto è perché ha trovato dei magistrati che hanno riconosciuto le sue ragioni. Il problema della magistratura non è che ci sono troppi comunisti, ma un altro.
Quale?
I magistrati Lavorano poco.
Com’è possibile?
Sono totalmente privi di controlli. La versione ufficiale è che si portano il lavoro a casa. Ma sappiamo tutti che non è vero. Tra Natale e l’Epifania ci sono stati 8 giorni lavorativi. Sfido chiunque a dimostrare d’essere entrato in un tribunale e aver visto celebrata una sola udienza. Non capisco perché le Poste il 31 dicembre funzionavano mentre la Procura di Milano era sostanzialmente chiusa.
Come si risolve il problema?
Anzitutto, la questione si potrà dirimere con serenità solamente quando il conflitto politico sulla magistratura avrà fine. Allora, per esempio, si potrà stabilire che i pubblici ministeri sono dipendenti del ministero della Giustizia e non professionisti che agiscono nella più totale autonomia e, a quel punto, si potranno farli lavorare di più.
Tornando al processo “Inifito”: era realmente così imponente, o si è determinata una sovraesposizione mediatica?
Va detto che questa ondata di processi all’ndrangheta ha avuto il risultato concreto di fare in parte piazza pulita. C’era un sottobosco di confine tra la criminalità organizzata, l’economia e la politica che aveva raggiunto livelli impressionanti. Tutto questo è stato arginato. Detto ciò, non mi pare che le attività criminali di queste organizzazioni fossero di livello così allarmante. Non siamo, cioè, in presenza di grandi traffici di droga o fenomeni di riciclaggio di denaro in grandi aziende. L’inchiesta ha dimostrato, inoltre, che al nord le vittime dell’ndrangheta, sostanzialmente, diventano tali perché hanno iniziato a chiedere favori, o prestiti. Al sud è molto più complicato riuscire a non dover fare i conti con la mafia.
(Paolo Nessi)