Ora che succede? Capita di chiederselo all’indomani di ogni elezione, rispetto a qualunque livello di governo. Ma, mentre nel Paese prevale il disincanto e nessuno si è mai aspettato chissà che dall’avvicendarsi degli inquilini di Palazzo Chigi, in Lombardia le cose stanno diversamente: che la Regione vanti eccellenze su più fronti non è in discussione; spontaneamente, quindi, ci si domanda se quel modello che le ha consentito di diventare uno dei quattro motori d’Europa sarà smontato, mantenuto o migliorato. Lo abbiamo chiesto a Stefano Bruno Galli, docente di Storia delle Dottrine Politiche presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, neo eletto in Consiglio regionale tra le fila della Lista Maroni Presidente di cui è capogruppo.
Cosa cambia rispetto al passato?
Dal punto di vista amministrativo ben poco. Lo stesso Maroni ha più volte manifestato l’intenzione di porsi in una logica di continuità. Del resto, negli ultimi decenni, la Lombardia è diventata una piccola Baviera. Un modello di gestione amministrativa efficientissimo. Non c’è ragione per cui venga modificato. Ci saranno, invece, innovazioni sul fronte politico.
Ci spieghi
Il programma di Maroni, sottoscritto da tutti gli alleati, è qualificato dall’istituzione della macroregione del nord e dal mantenimento del 75% delle tasse sul territorio che le produce. Scopo dell’intera coalizione –forti del fatto che Lombardia, Veneto e Piemonte rappresentano circa 20 milioni di cittadini, producono circa il 50% del pil italiano, staccano un assegno di 50 miliardi di euro a beneficio del resto del Paese e ricevono meno del 65% di quanto versano – è far valere i rapporti di forza con Roma e Bruxelles.
Partiamo da Bruxelles. Maroni ha fatto sapere che le macroregioni sono obiettivi europei
Ed effettivamente è così. Per questo, bollare la politica di Maroni come antieuropeista è stato estremamente superficiale. L’obiettivo consiste nel superare i limiti oggettivi dell’attuale Europa – dominata dalle lobby e dalla finanza, dai burocrati e dai tecnocrati – per procedere verso una reale unità politica, concretizzabile esclusivamente attraverso una prospettiva macroregionale, nel quadro di un’Europa autenticamente federale. D’altro canto, la stessa Ue già sta ragionando i questi termini. Ammettendo, cioè, l’esistenza di criteri di omogeneità economica, produttiva e sociale che trascendano le mere dimensioni territoriali regionali. Il Parlamento europeo, per esempio, attraverso risoluzioni come quella del 6 luglio 2010 o del 3 luglio del 2012 ha istituzionalizzato l’euroregione del Baltico e quella transdanubiana, auspicando l’adozione di una tale prospettiva anche per altre aree.
Questo cosa comporta?
L’euroregionalizzazione, che è un tratto distintivo delle politiche europee, guarda a tali realtà macroregionali come la naturale destinazione degli investimenti. Non dimentichiamo che la gestione dei rapporti con l’Ue, in Italia, è contemplata tra le cosiddette materie concorrenti. Si tratterà, quindi, di far valere questo aspetto e di intavolare trattative con Bruxelles.
E i rapporti con Roma?
Le Regioni a statuto speciale fecero valere, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, il principio di contratto-scambio. Avrebbero partecipato alla costruzione della Repubblica se fosse stata riconosciuta la loro specialità. Allora pesarono ragioni di tipo etnico, linguistico e culturale. Oggi, la crisi enfatizza la dimensione economico e sociale, al punto da travalicare qualsiasi altra motivazione. La dottrina sugli accordi infraregionali è chiara, basta leggere qualche articolo di Bassanini. Sulla scorta di tali considerazioni e consapevoli del peso specifico della Lombardia rispetto all’economia dell’intero Paese, sarà decisivo il ruolo dell’assessore ai Rapporti istituzionali, delega sin qui contenuta nell’assessorato al Bilancio. Assumerà un ruolo nevralgico rispetto alla possibilità di ottenere da Roma il mantenimento del 75% delle tasse al nord.
(Paolo Nessi)