«Non si tratta in modo generalizzato di dare risorse in mano all’utente e far sì che questo si muova nel mercato. Ma di accompagnarlo nel percorso di scelta in un contesto di complessità e di diversificazione degli interventi». Sono le parole dell’assessore alla Famiglia della regione Lombardia, Cristina Cantù. Che, già di per sé, dovrebbero sgomberare il campo da ogni equivoco circa il fatto che il sistema dei voucher formigoniano sarà archiviato, superato, rivoluzionato, emendato pesantemente. Si usi il termine che si preferisce, perché nessuno tra coloro che vogliono estinguere il sistema parlerà mai di eliminazione vera e propria, ma pur sempre di questo si tratta. Il linguaggio della Cantù è burocraticamente barocco, l’assessore discetta di «consolidamento e completamento della rete di assistenza mediante una forte responsabilizzazione delle istituzioni territoriali competenti nella pianificazione, valutazione e presa in carico dei bisogni» e di «responsabilizzazione e valorizzazione della famiglia verso i suoi componenti più fragili»; ma è sufficiente un minimo sforzo di traduzione per coglierne il senso: saranno le Asl e i comuni a scegliere al posto dei cittadini («pianificazione, valutazione e presa in carico dei bisogno»). La logica di fondo è che, da soli, non sono in grado di farlo. Vanno, appunto «responsabilizzati». Se poi qualcuno fosse ancora scettico sul fatto che la giunta Maroni voglia seppellire i buoni socio-assistenziali per l’assistenza domiciliare e i servizi di riabilitazione, o che il pensiero leghista non sia connotato dal localismo dirigista, allora basta leggersi l’ordine del giorno presentato dal Pd al Piano regionale di sviluppo. Che è stato approvato a larga maggioranza e, pur preservando formalmente l’esistenza dei voucher ne snatura l’essenza. Anche in tal caso, occorre orientarsi nei meandri del linguaggio burocrate, ma il senso è chiaro. Il testo impegna la Giunta a utilizzare in maniera «nuova» lo strumento dei buoni, per consentire alla persona bisognosa di «accedere alla rete di offerta dei servizi secondo criteri di appropriatezza ex ante e reale necessità, e solo comunque in presenza di una presa in carico da parte dei servizi, con la possibilità di verificare l’appropriatezza ex post degli interventi di assistenza Fornita»; contestualmente, l’ordine impegna e destinare direttamente agli Ambiti Territoriali le risorse da utilizzare di concerto con l’ASL e «a salvaguardare ed ottimizzare la presa in carico e l’accompagnamento delle persone e delle famiglie nel loro percorso di scelta». Insomma, tutto ciò sembra ben distante dal criterio della libera scelta.