“Attraversare la città contemporanea con il desiderio di ascoltarla, di comprenderla, senza schemi riduttivi e senza paure ingiustificate, sapendo che insieme è possibile conoscerla nella sua varietà diversificata, nelle reti di amicizie e di incontri, nella collaborazione tra i gruppi e le istituzioni. Favorire i rapporti tra persone che sono diverse per storia, per provenienza, per formazione culturale e religiosa. Possiate essere il fermento e i promotori di nuove ‘agorà’ dove si possa dialogare anche tra coloro che la pensano diversamente in una ricerca appassionata e comune” (Attraversava la città, Milano, 2002).
La figura e l’attualità del card. Martini rivivono nei 111 ritratti personali che compongono il libro Martini e Noi a cura di Marco Vergottini.
La Fondazione Vittorino Colombo e il Comitato Mimpegno hanno organizzato per lunedì 30 novembre alle ore 18.30 in piazza San Marco n. 2 l’incontro “La figura e il contributo del Card. Martini per la costruzioni di una civiltà migliore” con la presentazione del libro Martini e noi a cura di Marco Vergottini organizzato dalla Fondazione Vittorino Colombo e dal Comitato Mimpegno.
Ne discutono mons. Luigi Testore, Marco Vergottini, Gabriele Albertini, Francesco Brugnatelli e Angelo Caloia. Modera Carmelo Ferraro.
Attraverso le testimonianze di alcune primarie figure che hanno vissuto con il card. Martini, la città di Milano si vuole riscoprire l’attualità di Carlo Maria Martini e il suo contributo per la città di Milano.
Il card. Martini è stato uomo presente nel suo tempo, un tempo segnato dal terrorismo, dalla Milano da bere degli anni 80, da Tangentopoli fino alla crisi di un modello e di un mondo industriale in cambiamento ed ai gradi flussi migratori, il tutto nel contesto di una società in rapida evoluzione.
In un momento storico civile di “sbandamento” e dove sembra aver voce solo chi grida più forte, il card. Martini ci richiama al fondamento del vivere civile come ricerca del bene comune anche nelle differenze. “Non possiamo dimenticare che la città sorge per meglio integrare le persone, per far si che le loro capacità siano meglio espresse, si intreccino con quelle degli altri, i loro bisogni trovino migliore e più rapida risposta. La città è dunque un fatto umano, un fatto organizzativo che nasce dall’intelligenza e dalla volontà di ricerca del bene comune”. E ancora: “Bisogna imparare a leggere la città con occhio caritatevole, paziente, misericordioso, amico, propositivo, cordiale”.
L’invito e il richiamo a vivere una responsabilità personale per il bene di tutti: “Talora io mi incontro con persone che mi chiedono di dire loro che cosa devono fare e io le invito a pensare, a riflettere, a rendersi conto della situazione! … Si ha paura di pensare, di affrontare il reale e si vogliono soluzioni pratiche, si cerca la chiave del successo. Ma la chiave del successo esige la fatica del pensare, del responsabilizzarsi, del mettersi di fronte alla realtà”.
L’attenzione al mondo dei carcerati e le sue frequenti visite: “La giustizia è dunque un’utopia? Dio ha forse creato l’uomo desideroso di giustizia, ma incapace di realizzarla? In tal caso Dio non sarebbe giusto. … l’ispirazione fondamentale che giustifica lo sforzo di cercare incessantemente e con tutte le forse una giustizia almeno un poco più giusta o meno ingiusta”.
Ed ancora, la potenza e la fecondità delle parole di conforto di fronte ad insensati atti di violenza: “La speranza è che coloro che si sono macchiati di crimini così orrendi siano folgorati dalla coscienza del male che hanno fatto. Nella preghiera e nella fede starà la nostra forza per superare questi momenti oscuri, che ci fanno come increduli e smarriti di fronte a tanta barbarie” (Omelia ai funerali dei due passanti uccisi in un inseguimento tra gangster, Bresso, settembre 1990).
Ed infine le drammatiche e profetiche parole — anche ai giorni d’oggi a due settimane dagli attentanti di Parigi — sull’Europa: “per costruire l’unità dell’Europa, un’unità che non si può basare su trattati e compromessi politici ma che si deve fondare su una ‘profonda unità interiore di vita, su convinzioni radicali, su una coerenza fra fede pensata e fede vissuta e, insieme una capacità di apertura, di dialogo, di valorizzazione dell’altro che permetta di guardare al futuro come a un futuro di pace e di collaborazione. L’Europa che sogno è quindi un’Europa non dei mercati e neppure solo degli Stati, delle regioni o delle municipalità: è un’Europa dei popoli, dei cittadini, degli uomini e delle donne. Un’Europa capace di riconciliare; un’Europa dello spirito, edificata su solidi principi morali e, per questo, in grado di offrire a tutti e a ciascuno spazi autentici di libertà, di solidarietà, di giustizia, di pace; un’Europa che viva gioiosamente (non noiosamente) questa sua missione a servizio del mondo intero”.