A venti giorni dallo start dell’Expo, non ci voleva. Stefano Elli, penna del Sole 24 Ore sempre in azione sulla frontiera bollente fra inchieste giudiziarie e grande finanza, anche nella mattinata di ieri si è recato al Palazzo di giustizia di Milano: diretto, come sempre, più al quarto piano — dove sono localizzati gli uffici della Procura — piuttosto che al terzo, dove in un’aula si è consumata la tragedia del giudice fallimentare Ferdinando Ciampi, dell’avvocato Lorenzo Claris Appiani e di Giorgio Erba, coimputato con l’omicida Claudio Giardiello.
Che aria si respirava a palazzo?
Dopo lo choc è ovvio che tutti si siano chiesti come sia potuto succedere, nel cuore e nel simbolo del presidio della legalità a Milano. E in una città che si prepara a ospitare l’Expo credo che la preoccupazione di tutti sia per la sicurezza. Giardiello, a quanto è dato di capire, non era un criminale e tanto meno un terrorista. Ma ha colpito come Charlie Hebdo a Parigi. E non può certo stupire che la vigilanza sull’ordine pubblico — un network di cui il Palazzo di giustizia è un perno decisivo — sia entrata in allerta pieno.
Già: com’è potuto succedere?
In serata è giunto un comunicato emblematico da parte della Allsystem, la società i cui dipendenti presidiano i varchi di accesso al Palazzo di giustizia di Milano. Vi si dice che non sono responsabili della sicurezza del varco da cui sarebbe entrato l’assassino. Su quello di via Manara, che dallo scorso luglio è riservato ad avvocati e addetti ai lavori, a vigilare è un’altra società. Questo è certamente il primo punto da chiarire. Sarebbe opportuno conoscere quante sono le società private cui è affidata la sicurezza degli impiegati, dei magistrati e degli operatori di polizia giudiziaria che vivono nel palazzo.
Tu passi quotidianamente i varchi…
I metaldetector possono individuare un piccolo registratore all’interno di una borsa dove è stipata ogni sorta di diavoleria elettronica e congegni in grado di registrare praticamente tutto: immagini e sonoro. Ma gli addetti alla sicurezza sono di un’inflessibilità categorica. I registratori non possono entrare. Evidentemente però un signore con un tesserino fasullo, un aspetto sufficientemente elegante, una calibro 7,65 nella borsa e un disegno criminale ben preordinato ha potuto entrare senza difficoltà.
Un disegno “ben preordinato”?
E’ un’impressione che ho trovato presso alcuni veterani di palazzo: Giardiello ci pensava da tempo, ha meditato la sua terribile vendetta. Ed è un’impressione che mi sento di condividere: proprio chi diventa un “habitué” del palazzo — un frequentatore seriale, intenzionale — può confondersi meglio con la folla di avvocati e altri addetti ai lavori. E questo può aver contribuito ad aprire la smagliatura nella sicurezza.
Tu hai seguito Tangentopoli, che ha lasciato una scia di morti, ma mai dentro il Palazzo di giustizia.
E’ vero, fra il ’92 e il ’94 si sono vissute giornate e nottate di tensione quasi insostenibile, ma nessuno è mai riuscito ad assaltare il palazzo e a uccidere.
(AQ)