Nel 2009 il piccolo Federico, figlio di Antonella Penati, è stato massacrato dal padre in una struttura, tecnicamente, protetta in cui gli assistenti sociali avrebbero dovuto vegliare. Si trattava, infatti, di una visita programmata dal Tribunale, tra l’ex marito della madre e suo figlio, che era stato affidato alle cure della madre dopo che all’uomo venne diagnosticato “un disturbo bipolare“, racconta lei oggi a Repubblica.
Un figlio massacrato, insomma, ma che secondo Penati è solo la punta dell’iceberg di “535 bambini e ragazzi [per mano] dei genitori, che nell’87% dei casi sono i padri”. A 14 anni di distanza non riesce ancora a darsi per vinta, nonostante negli anni abbia provato, con ogni mezzo, ad ottenere giustizia senza riuscirci. Ora, infatti, è all’ultimo passo della sua lunga battaglia, e racconta di aver presentato una legge sull’affidamento dei figli in caso di violenza di genere o domestica e sulle responsabilità di chi dovrebbe proteggerli, come non è stato per suo figlio massacrato nella struttura protetta, perché “è inaccettabile che quel 20% di [padri] violenti sia lasciato libero di agire”.
Penati: “Mio figlio massacrato con 37 coltellate”
Infatti, Antonella Penati racconta che i casi in cui un figlio viene massacrato da un genitore sono tutti simili tra loro, “con stesse dinamiche, stessi ricatti, denunce sottovalutate, madri che cercano solo di proteggere i figli fatte passare per pazze, una narrazione dei fatti fasulla che tende solo a proteggere il sistema e i suoi interessi”. Passando oltre ci tiene anche a dedicare un ricordo al figlio, Federico, “del quale conservo sempre l’ultima immagine”.
Penati ricorda che la mattina in cui suo figlio è stato massacrato, “quando l’ho lasciato a scuola, mi ha detto che non voleva vedere il padre, aveva paura”. Di contro, però, il giudice aveva deciso che “io ero esagerata”, e racconta di aver presentato 10 denunce a carico dell’ex marito, “e aveva ordinato gli incontri protetti” in una struttura degli assistenti sociali in cui ci sarebbe dovuta essere sorveglianza. “Nessuno”, racconta rivivendo il trauma di vedere suo figlio massacrato, “si è accorto che lui era entrato con una pistola e un coltello da cucina. Prima gli ha sparato da dietro, poi si è accanito con 37 coltellate. Mio figlio è morto dissanguato, lui si è sparato. I padri”, racconta, “uccidono i figli per punire le donne che li hanno lasciati. E nessuno di coloro che avrebbe dovuto sorvegliare ha pagato”.