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Home » Cronaca » Cronaca Nera » Moby Prince, “strage per terza nave”/ Commissione d’inchiesta: peschereccio somalo o…

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Moby Prince, “strage per terza nave”/ Commissione d’inchiesta: peschereccio somalo o…

Marta Duò
Pubblicato 15 Settembre 2022
Moby Prince

Moby Prince (Wikipedia)

Disastro Moby Prince, il traghetto impattò con la Agip Abruzzo a causa di una terza nave: la verità rivelata dalla commissione di inchiesta

Il disastro della Moby Prince sarebbe stato causato da una terza nave. Lo ha affermato Andrea Romano, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta, riportando all’attenzione una circostanza che era emersa anche nei giorni immediatamente successivi alla tragedia, ma mai confermata in seguito. “La Moby Prince è andata a collidere con la petroliera Agip Abruzzo per colpa della presenza di una terza nave comparsa improvvisamente davanti al traghetto – spiega Romano – che provocò una virata a sinistra che ha poi determinato l’incidente. Purtroppo questa nave non è ancora stata identificata con certezza”.


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È quanto ha riferito La Repubblica, riportando le parole pronunciate dal presidente Romano nel corso della presentazione dei risultati della relazione finale. “Le perizie ci dicono che l’esplosione non fu causa della collisione” ha illustrato Andrea Romano. Fino a questo momento, infatti, tra le possibili cause del disastro della Moby Prince, avvenuto nel 1991, si era individuata la possibilità che l’imbarcazione trasportasse dei materiali pericolosi. Secondo il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta, invece, la causa della tragedia è da imputare o a una bettolina, cioè una chiatta per il trasporto delle merci, oppure a un peschereccio somalo.


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Disastro Moby Prince, “infondata” la presenza di esplosivi e materiale pericoloso a bordo

La Moby Prince era un traghetto della Navarma che, la terribile sera del 10 aprile 1991, si schiantò contro la petroliera Agip Abruzzo. Nel disastro della Moby Prince persero la vita 140 persone e l’unico sopravvissuto fu il mozzo Alessio Bertrand. A 31 anni dalla tragedia, riemerge ora l’ipotesi di una terza nave, già vagliata poco dopo l’avvenuto disastro. La relazione finale è stata approvata all’unanimità e scarta in via definitiva la presunta presenza di esplosivo a bordo, una diceria definita “infondata”, assieme ad altre ipotesi che erano state avanzate per spiegare il disastro, tra cui “quella della nebbia o della distrazione del comando del traghetto durante la navigazione”.


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Come si legge su La Repubblica, nella relazione finale “sono state ricostruite con vari documenti o misure fatte da strumenti che si trovavano in quell’area” le condizioni meteo di quella terribile sera, e “le conclusioni sono che la visibilità di fronte al porto di Livorno era buona se non ottima, vento di pochi nodi, mare calmo e corrente marina ininfluente“.

Disastro Moby Prince, la commissione d’inchiesta: “Agip Abruzzo ancorata in zona vietata”

Nella relazione finale presentata da Andrea Romano, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta, emergono ulteriori dettagli che potrebbero presto portare alla risoluzione di un giallo che non ha ancora trovato risposta dopo oltre trent’anni. “Abbiamo accertato senza ombra di dubbio, grazie a studi scientifici eseguiti in modo approfondito, che la Agip Abruzzo si trovava ancorata in rada in una zona dove invece c’era il divieto di ancoraggio” si legge su La Repubblica, citando i risultati contenuti nella relazione.

Ma non è l’unico particolare emerso dopo così tanto tempo: “il black out a bordo della petroliera pochi minuti prima della tragica collisione la rese invisibile davanti agli occhi del comando del traghetto Moby Prince”. Andrea Romani riserva anche alcune parole all’atteggiamento di Eni in seguito al terribile disastro: “forse sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti”. E rinnova l’appello a diffondere la verità, così che le 140 vittime possano trovare infine giustizia.


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