Il problema delle mutilazioni genitali femminili è una questione che riguarda da vicino anche l’Europa, soprattutto dopo le ultime ondate migratorie che hanno aumentato il numero di donne migranti a rischio, provenienti da paesi nei quali è ancora praticata questa usanza e che vivono nelle città del continente. I dati pubblicati dall’ultimo rapporto condotto dalla rete internazionale di protezione End FGN sono allarmanti. Si stima infatti che almeno 600mila casi siano avvenuti solo nel 2020. A detenere il primato negativo è il Regno Unito, nel quale vivono attualmente circa 137mila sopravvissute.
E tra gli stati più a rischio c’è anche l’Italia insieme a Francia, Germania e Paesi Bassi. In tutto il mondo il numero delle ragazze costrette a subire le conseguenze della mutilazione è elevato. Sarebbero circa 200milioni, e sebbene siano diminuite nel corso degli anni, perchè in molte nazioni si stanno portando avanti politiche di sensibilizzazione e divieti, il fenomeno, all’interno del quale ci sono diversi tipi di interventi, resta ancora troppo diffuso.
Mutilazione Genitale femminile, ancora troppe donne a rischio, anche in Europa
Le mutilazioni genitali femminili sono ancora praticate in moltissime regioni del mondo. Secondo i dati dell’osservatorio End FGN, anche in Europa resta elevato non solo il numero delle sopravvissute ma anche di quelle che sono attualmente a rischio, circa 190mila in età inferiore ai 15 anni. Nonostante da molti anni vengono portati avanti progetti di dialogo e campagne per promuovere l’eliminazione della pratica, la prevalenza resta particolarmente elevata in alcune zone. In particolare nei paesi sub sahariani, principalmente in Somalia, dove il tasso di donne che hanno subito interventi chirurgici di mutilazione resta quasi al 99%.
Ma anche in Asia, soprattutto in Malesia, Indonesia, India e Medio Oriente. Con picchi che variano a seconda delle comunità etniche di riferimento. E quindi il numero assoluto è aumentato in Europa tra le popolazioni che si sono trasferite. La sensibilizzazione, come conferma l’associazione, sta funzionando, tuttavia servirebbero più sforzi da parte delle istituzioni locali per raggiungere l’obiettivo comune dell’eliminazione di una pratica così dannosa, che come ha denunciato più volte l’Oms, può comportare conseguenze molto gravi sia fisiche che psicologiche sulla salute delle donne e che spesso provoca anche la morte.