L’Avvento quest’anno è stato carico di un’attesa “strana” del Natale. Innanzitutto la pandemia ha reso incerta, scivolosa l’attesa; non tanto perché non fossimo certi nella speranza che il Signore viene, e nel Natale viene riproponendo non una bella risposta preconfezionata e, forse, ormai approssimata alla data di scadenza, ma una vicinanza umana; quanto perché l’infido virus ha scoperchiato l’inattendibilità di tante nostre fiducie. Mi ha impressionato e anche un po’ preoccupato vedere la pubblicità di un governo di uno Stato europeo inneggiare alla pigrizia per ridurre, o rendere innocua l’infezione del virus. In altre occasioni avremmo detto: “siamo alla frutta”.
Ma così l’atmosfera già satura di “nichilismo gaio”, per usare l’espressione del grande filosofo del secolo scorso Augusto Del Noce, anch’essa strana, che vedo diffondersi, ahimè, anche qui finisce col frenare la nostra attesa, perché nella inermità si annebbia la coscienza in noi del fatto che siamo fatti attesa, attesa di un Rapporto, con la R maiuscola, che si annuncia e si rende visibile in una infinità di rapporti quotidiani.
La pandemia ha trasformato i rapporti, ha cambiato il modo in cui usiamo delle cose, perfino i social. È come se improvvisamente le cose fisiche e virtuali scavassero un fosso tra le persone, così che i rapporti diventano difficili, non avviene il processo di scambio così necessario alla crescita e allo sviluppo della persona e della coscienza. E poi questo finisce col favorire il diffondersi di una cultura della divisione, di una cultura dell’insultare l’altro, guardato come avversario. È paradossale, ma è come se questa seconda ondata ci avesse trovati più deboli, più fragili, più soli e “isolati”, separati. Mi sono tornati in mente alcuni scritti di Solženitsyn o di Varlamov o di autori anonimi del samizdat, in cui si descrive quasi un ammalarsi di “assenza di rapporti”, questa strana malattia alimentata dal sospetto, dall’impossibilità di fidarsi del vicino, del parente, del familiare. Anche il semplice, e, forse, un po’ banale, “ce la faremo” è sparito dai balconi, dai canali internet.
Ma l’attesa è più testarda, e anche questo aspetto mostra la stranezza dell’attesa di quest’anno; essa non si rassegna mai al fondo del cuore, rinasce sempre come una fenice, come una sana inquietudine. Davvero Sant’Agostino ha scritto qualcosa di sublime e di eterno in quel suo memorabile verso: “Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non trova Te”.
Se non ci arrendiamo, allora la stranezza dell’attesa di quest’anno prorompe di nuovo in noi, anzi non solo prorompe in noi, ma se la assecondiamo, allora ritroveremo un gusto per i rapporti, una passione di andare incontro all’altro.
Si comincerà a realizzare quella cultura dell’incontro di cui parla Papa Francesco, si risveglierà quel moto gioioso così tipico dell’anima sudamericana, per cui “la vita, amico mio, è l’arte dell’incontro”, come cantava Toquinho sui versi di una poesia di Vinicius De Moraes, Samba da Bêndeção. E allora accade il miracolo: tutto, letteralmente tutto diviene segno del destino che ci attira, che attrae il nostro desiderio, tutto diviene segno del Signore che viene come un bambino, perché “tutto consiste in Lui” (cfr. Col 1,15-20) dice San Paolo.
E allora sì, cominciamo ad attendere Uno che è già venuto nei nostri cuori, che ha già risposto alla nostra attesa, e questo non può non spingerci, per quello che dipende da noi, a ricercare, a sostenere tutte le possibili soluzioni alla pandemia, a sostenere un risveglio socio-culturale là dove lo vediamo accadere.
“La speranza”, ha scritto Eugenio Borgna, “è sembrata naufragare sugli scogli della solitudine, dell’angoscia, e della disperazione, che in queste settimane scendevano nei nostri cuori; ma dalla disperazione, come dice Georges Bernanos, non può forse germogliare una nuova speranza che come un ponte mette in contatto la nostra speranza con quella di chi l’abbia perduta?”.
La speranza è il cuore del Mistero del Natale. Dio ha scelto una ragazza di quindici anni, Maria, ha scelto un uomo semplice, Giuseppe, ha scelto dei “poco di buono”, dei poveracci, i pastori, così come dei saggi dal cuore di bambini come i Magi, ma ha scelto anche noi per sostenere la speranza del mondo. Il Natale è il mistero della preferenza che arriva fino a noi oggi. Siamo salvati dall’incontro reale con il divino, che si fa in modo eccezionale bambino per poter corrispondere al nostro cuore.