Come ampiamente prevedibile i nuovi dati demografici confermano il trend negativo, con la denatalità che avanza incontrastata. I figli per donna calano da 1,25 a 1,24: il dato particolarmente negativo riguarda le donne con cittadinanza italiana, che hanno un tasso di fertilità di 1,18. Accennare a questi dati indica quanto poco possa essere efficace, nel lungo periodo, una soluzione che preveda di “scaricare” (in parte) la responsabilità di ripresa demografica sugli stranieri, tanto che «negli ultimi anni si è attenuato l’effetto positivo sulle nascite determinato dalla popolazione straniera, esercitato a partire dai primi anni Duemila» (Istat, report, 26 ottobre 2023). Combattere la denatalità con l’immigrazione non funziona nel lungo periodo, nonostante possa essere un rimedio efficace nell’immediato.
Le motivazioni del declino demografico sono varie e più volte analizzate, tra le quali l’età media delle donne al primo figlio, superiore a 31 anni («Il calo delle nascite è in parte causato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni»); questo è dovuto anche, ma non solo, a problemi del mercato del lavoro: gli ostacoli per raggiungere un posto che garantisca una certa autonomia economica sono molti e questo influisce sulla scelta di costruire una famiglia e sulle relative tempistiche.
Va inoltre notato che rispetto al 2008 le nascite sono diminuite del 31,8% e dell’1,7% rispetto al 2022.
In questo quadro sempre più drammatico le conseguenze, in parte già presenti all’interno della società, sono ormai purtroppo note, tra le quali: problemi di carattere assistenziale e sanitario, problemi relativi alla sostenibilità del sistema pensionistico e al mercato del lavoro, con la mancanza di giovani lavoratori, e conseguentemente problemi relativi alla inevitabile riduzione del Pil. Oltre a questi non vanno dimenticati problemi di carattere culturale e sociale (le famiglie e i figli generano una rete sociale all’interno delle proprie aree abitative destinata ad assottigliarsi sempre più), con l’aumento del fenomeno della solitudine, ad esempio a Milano il 54% dei nuclei familiari è composto da una sola persona, che a sua volta può portare a problemi di carattere mentale e/o psicologico.
Davanti a questo quadro di cui si è dato solo un piccolo sunto, è più che lecito chiedersi quali possano essere le soluzioni e cosa si sta facendo.
Nell’ultima Manovra il Governo sembra essersi mosso per dare sostegno alle famiglie, ampliando lo stanziamento per il bonus asilo, riducendo a tre gli scaglioni Irpef (23% fino a 28.000 euro), mantenendo il taglio del cuneo fiscale. L’operazione, essendo completamente in deficit, non è ancora definitiva, il che vuol dire che al momento manca un orizzonte che vada oltre la legislatura, ma può essere comunque ossigeno per le finanze familiari, con l’auspicio che l’aumento del potere d’acquisto abbia un effetto moltiplicatore sui consumi e sulle casse dello Stato. Allo stesso tempo il Governo ha però intenzione di alzare nuovamente l’Iva sui prodotti per la prima infanzia e per le donne, che aveva precedentemente abbassato: sembra che il taglio dell’Iva non abbia prodotto l’effetto sperato dal lato dei produttori, dato che si pensava che tale taglio potesse ridurre i costi. Va comunque constatato che l’Iva verrà portata al 10% e non tornerà al 22%. L’impressione è che il rialzo sia più che compensato dall’aumento del potere d’acquisto delle famiglie, inflazione permettendo. A tal proposito una buona notizia arriva dalla Bce, che ha annunciato di aver lasciato i tassi invariati: questo è positivo per le Pmi e le famiglie impegnate con i mutui a tasso variabile.
Gli interventi del Governo possono essere discussi e discutibili, soprattutto a proposito dell’orizzonte ancora di breve termine e del capitolo investimenti: “È una manovra ragionevole perché si è concentrata sul taglio contributivo del cuneo fiscale che avevamo chiesto. Manca invece la parte relativa allo stimolo degli investimenti” (Bonomi, Il Sole 24 Ore). Non basta però intervenire solo sul lato economico. Servono servizi di ogni genere, come ad esempio agevolazioni per le imprese per avere asili nido (o posti alternativi) all’interno dei propri locali o in aree limitrofe, permettendo ai genitori di conciliare vita lavorativa e familiare.
Anche lo smart working merita una riflessione: può essere incrementato per persone con figli, seguendo la stessa logica dei fringe benefit. Bene, in questo senso, è la decontribuzione (fino al 130%) per chi assume donne madri con due o più figli, ma rimane in ogni caso il problema di una mancanza di servizi adeguati affinché le mamme possano lavorare senza rinunciare ai figli. In tal senso non basta un semplice bonus babysitter o asilo, ma una rivoluzione complessiva (e complessa) del mercato del lavoro.
La situazione demografica è sempre più catastrofica, serve un’inversione di tendenza, ricordando che il tema non è appannaggio di una parte politica, ma che al contrario è un problema di tutto il Paese.
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