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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » NON SOLO DAZI/ Dal rame ai chip, le scelte strategiche che mostrano un’altra “anomalia” Ue

  • Economia Internazionale
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  • Economia e Finanza

NON SOLO DAZI/ Dal rame ai chip, le scelte strategiche che mostrano un’altra “anomalia” Ue

Paolo Annoni
Pubblicato 20 Agosto 2025
presidente USA Donald Trump

Il presidente USA Donald Trump (Ansa)

Negli Stati Uniti, e non solo, ci si muove per portare in patria alcune produzioni strategiche. Ma l'Ue sembra immune da questa tendenza

I summit sull’Ucraina di questi giorni hanno fatto passare in secondo piano alcuni eventi finanziari rilevanti. Venerdì scorso, quando gli occhi di tutti erano puntati sull’incontro tra Trump e Putin in Alaska, il Presidente americano ha deciso di estendere i dazi applicati all’alluminio e all’acciaio, oggi pari al 50%, a più di 400 categorie di beni che ne includono i metalli. All’interno di queste categorie rientrano motociclette, stoviglie, componentistica auto e molti altri beni. 


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Dal punto di vista della Casa Bianca è inutile mettere dazi all’importazione di acciaio per tenere la porta aperta ai loro derivati. L’obiettivo di questa Amministrazione, infatti, è creare catene di forniture in settori strategici controllabili e al riparo da rischi geopolitici; questo significa, a seconda dei casi, incentivare la costruzione di nuovi impianti sul territorio americano oppure in Paesi “amici” che accettano di collocarsi stabilmente nella sfera economica e politica di Washington. 


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In questi giorni l’Amministrazione Trump valuta l’ingresso nell’azionariato di Intel con una quota che potrebbe arrivare fino al 10%. Sarebbe una novità assoluta per gli Stati Uniti che trasformerebbero una società che capitalizza oltre cento miliardi di euro in una sorta di partecipata statale. Anche in questo caso l’obiettivo è incentivare la costruzione di impianti di produzione di chip, considerati critici, sul suolo americano; l’urgenza è dettata anche dal rischio di un conflitto tra Cina e Taiwan che rischia di mettere fuori gioco il principale produttore mondiale di chip. 


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La stessa logica emerge nei dazi all’importazione di rame il cui obiettivo è incentivare il rientro delle fonderie di rame, un settore oggi dominato dalla Cina. Anche in questo caso l’obiettivo finale è la presa su catene di fornitura considerate strategiche.

Questi processi di rientro della capacità produttiva, in un’ottica di sicurezza e sovranità, non sono un’esclusiva degli Stati Uniti. Dalla Turchia all’India, passando per i Paesi del Mediterraneo meridionale fino all’Africa subsahariana e all’Asia i Paesi si attrezzano per mettere al riparo i propri settori industriali da conflitti geopolitici e dalla fine della globalizzazione. Più il settore è strategico, più alti sono gli incentivi al rientro; dall’energia, all’agricoltura, fertilizzanti in testa, e poi i settori industriali di base come appunto quello dei metalli o della chimica di base. 

L’obiettivo finale è considerato talmente importante che tutti gli altri passano in secondo piano. È chiaro, per esempio, che questo processo è inflattivo perché richiede investimenti colossali e la costruzione di impianti in luoghi meno competitivi di quelli originali. Qualsiasi produzione spostata dalla Cina non può che costare di più di prima.

L’unica regione del mondo immune a questo processo è l’Europa, che per la sua sicurezza energetica dipende dalle importazioni di gas americano e dalla componentistica “green” cinese e che condiziona gli accordi di fornitura di lungo termine di gas in Medio Oriente a valutazioni di moralità politica oppure all’imposizione di obiettivi di decarbonizzazione.

L’altra faccia della medaglia dei dazi di Trump è il blocco alle esportazioni di componenti critici messo in atto dalla Cina che, in questo modo, è riuscita a ritagliarsi un potere negoziale. È un monito per l’Europa che rimane ricattabile senza un minimo di realismo sui propri settori strategici. 

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Tags: DaziDonald TrumpEconomia USA

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