“Abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo Patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi”. Dalle parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a commento dell’accordo raggiunto mercoledì, in un Ecofin straordinario tenutosi in videocollegamento, non traspare una netta soddisfazione per quelle che saranno le nuove regole sulla governance fiscale dell’Ue che Bruxelles punta a far entrare in vigore prima della fine della legislatura. Abbiamo fatto il punto con l’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
Cominciamo da un giudizio sul contenuto dell’accordo raggiunto tra i ministri delle Finanze Ue.
Questo accordo perde in termini di semplicità rispetto alla proposta originaria della Commissione europea, della quale resta però l’elemento qualificante dell’arco pluriennale dell’aggiustamento fiscale da concordare con i singoli Paesi membri.
Come mai la semplicità della proposta di partenza non si riscontra in quello che è l’accordo finale frutto di mesi di negoziati?
Perché la Germania è riuscita a qualificare sempre più la soluzione di compromesso tramite l’inserimento di una serie di elementi di salvaguardia che regolano in modo abbastanza preciso il percorso di aggiustamento fiscale anno per anno.
I famosi “paletti” della Germania…
Si tratta di una serie di paletti quantitativi che vengono valutati annualmente, come la riduzione di almeno l’1% del rapporto debito/Pil (per i Paesi in cui tale rapporto sia superiore al 90%) o l’aggiustamento per il deficit/Pil eccessivo (che dovrà convergere all’1,5% strutturale), sebbene tale aggiustamento possa essere ridotto nel caso si stia implementando un programma di riforme e di investimento. Va anche ricordato che l’Italia e la Francia avevano chiesto una speciale considerazione per alcune tipologie di investimenti, come quelli legati alle transizioni ecologica e digitale, ma è stata riconosciuta solamente fino al 2027. Così come limitato nel tempo è il riconoscimento dell’impatto degli alti tassi di interesse sul costo del servizio del debito.
Finora abbiamo parlato del contenuto dell’accordo. Dal punto di vista del metodo con cui ci si è arrivati cosa si può dire?
L’accordo è stato raggiunto sotto la presidenza spagnola, ma è chiaro il ruolo guida che è stato svolto da Francia e Germania, che hanno di fatto isolato l’Italia. Va dato atto al ministro Giorgetti di un grande senso di responsabilità e spirito di compromesso: avrebbe potuto porre il veto, invece alla fine non ha obiettato all’accordo.
La scorsa settimana Giorgetti e Meloni avevano espresso perplessità sul fatto che potesse essere raggiunto un accordo in videocollegamento, ma dopo l’annuncio di martedì sull’intesa tra Francia e Germania è sembrata esserci una svolta: il nostro Paese è stato “costretto” a dire di sì all’accordo?
Dopo che Italia e Francia avevano proceduto in sintonia nel costruire una propria posizione, è chiaro che la mossa di Parigi ha obiettivamente spiazzato Roma.
L’Italia si è, quindi, ritrovata spiazzata dalla Francia…
Esattamente. Giorgetti non poteva che realisticamente prenderne atto e, come detto poc’anzi, lo ha fatto con senso di responsabilità senza porre il veto come avrebbe potuto fare. In ogni caso, trattandosi di una soluzione di compromesso tra 27 Paesi, ci sono comunque degli elementi in linea con le richieste italiane.
In effetti Giorgetti ha detto che l’Italia ha ottenuto molto. Che cosa in particolare?
Penso che il risultato più importante sia rappresentato dal fatto che la spesa per interessi e quella legata al Pnrr riceveranno una considerazione speciale e non verranno integralmente computate nei parametri da rispettare. Tuttavia, non si tratta di un criterio permanente, ma temporaneo. Naturalmente era irrealistico pensare che l’Italia potesse vedere accolte tutte le sue richieste. Bisognerà anche capire in che direzione si muoveranno gli altri tavoli negoziali dell’Ue, se ci saranno delle partite compensative: andrà fatta una valutazione complessiva.
In questo tavolo la Germania è riuscita di fatto a incidere e a far valere le sue richieste, specialmente sul medio lungo termine e, come lei ricordava in una precedente intervista, aveva già ottenuto un allentamento della disciplina sugli aiuti di Stato di cui l’economia tedesca ha beneficiato. Quale può essere oggi una compensazione rispetto a quanto Berlino è riuscita a ottenere finora?
Va anzitutto ricordato che in base all’accordo raggiunto sul Patto di stabilità, ciascun Paese dovrà formulare un percorso di aggiustamento fiscale che dovrà essere valutato in sede comunitaria. Già questo rappresenta un tavolo di confronto. Restano poi aperte tutte le altre partite, dai migranti alla politica industriale dell’Ue. Detto questo, il compromesso che è stato raggiunto è al di sotto delle aspettative italiane.
Quali effetti concreti ci saranno sulle manovre di bilancio italiane? C’è già chi calcola che, non potendo più aumentare il deficit, bisognerà intervenire sulla spesa pubblica per reperire circa 15 miliardi l’anno solo per confermare il taglio del cuneo fiscale e la riduzione dell’Irpef varate quest’anno…
Il ritorno alle regole del Patto di stabilità, seppur riformate, implica di per se stesso un elemento di disciplina fiscale rispetto alla situazione attuale. Ma a prescindere da questo sarebbe difficile proiettare gli attuali livelli di deficit indefinitamente nel tempo dato il nostro tasso di crescita. Su questo occorre intervenire a prescindere da quello che l’Europa può materialmente dire. E va anche ricordato che il compromesso raggiunto non penalizza in modo eccessivo quei Paesi ad alto debito che a oggi scontano un incremento straordinario dei tassi di interesse.
Di fatto, le vere e proprie rigidità scatteranno dopo il cosiddetto periodo transitorio.
Esattamente. Il compromesso raggiunto si basa sull’assunto che le conseguenze del periodo economico unico, tra pandemia e guerre, che stiamo attraversando, possano essere gestite entro la fine del 2026. Fino ad allora ci sarà una sorta di flessibilità di cui il nostro Paese potrà avvalersi, mentre le scelte dirimenti di riduzione del debito e di aggiustamento fiscale arriveranno successivamente. D’altro canto non si può certo ipotizzare che per un Paese ad alto debito come il nostro la flessibilità possa durare indefinitamente. Alla fine, non sarebbe nel nostro interesse.
(Lorenzo Torrisi)
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