Nel mare magnum dello scandalo Csm-Anm che giusto ieri ha visto la Procura Generale della Cassazione chiedere processo per Luca Palamara e altri 9 magistrati coinvolti nella prima “tranche” di inchiesta sul mondo delle correnti in magistratura, un punto ancora non è stato affrontato appieno: l’intera indagine parte dall’inserimento di un virus-trojan all’interno dello smartphone dell’ex presidente Anm di recente espulso dal “parlamentino” dei magistrati e sospeso dal Csm. Ebbene, non sono pochi gli antri “oscuri” entro i quali si sarebbe mosso tale trojan, sia come scelta iniziale di violazione della privacy e sia come gestione nel mentre delle varie intercettazioni sui quali si regge l’intero dossier del “sistema-Palamara”.
In un lungo reportage Antonino Monteleone delle Iene scopre diversi punti interessanti che non potranno non essere posti all’ordine del giorno nella prossima riforma della giustizia o in generale sui metodi usati per indagare in Italia: l’inchiesta della Procura di Perugia è partita da un presunto sistema corruttivo che nascerebbe in Sicilia (il «sistema Siracusa»), ma ha invece scoperchiato e messo a nudo il meccanismo di funzionamento dell’organo di autogoverno della magistratura italiana. Come? Tramite quel trojan inserito sul cellulare di Palamara; già, ma è il come è stato inserito che merita l’approfondimento della iena e che non potrà non entrare nell’eventuale processo ai danni dei magistrati.
PALAMARA: “NON HANNO MAI SPENTO IL MIO MICROFONO”
Secondo la penultima riforma Orlando, spiega Monteleone, «per alcuni reati non c’è più il limite che vede “nei luoghi di privata dimora” uno spazio interdetto all’orecchio delle Procure. E questo limite cade anche quando “Non vi è il fondato motivo di ritenere” che in quei luoghi si stia commettendo “attività criminosa”». Il “virus di Stato”, come viene ribattezzato il trojan, può essere usato per infettare i vari device tecnologici di chi è sospettato: ma per “entrare” nella vita dell’indagato, nel caso Palamara, il trojan è stato introdotto con un tranello ancor più insolito.
Di norma si tratta di un link contenuto in un sms ricevuto da un contatto familiare: nel caso dell’ex n.1 Anm però, non ha abboccato all’esca tesa dai pm di Perugia. «La Guardia di finanza, esperta in materia, suggerisce al Pm la strada da seguire: bloccare tutte le chiamate in uscita dal telefono di Palamara, dunque costringerlo – nel tentativo di risolvere il problema – ad abboccare a qualunque “esca”», spiega la Iena Monteleone. Di fatto, secondo il racconto dell’inviato di Mediaset, il pm avrebbe ottenuto il via libera del Gip per le intercettazioni ma senza riportare del “consiglio” avuto dalla Gdf: il pubblico ministero firma il decreto di interruzione temporanea delle chiamate uscenti obbligando di fatto Vodafone a “simulare un disservizio”, costringendo Palamara ad abboccare all’esca.
Sullo smartphone esce il popup con scritto «Rilevata anomalia chiamate in uscita, clicca qui per il reset della configurazione di rete»: dopo il clic il trojan diventa effettivo e da lì parte l’intera inchiesta che arriva fino al giorno d’oggi. «Qual è il problema? Apparentemente nessuno, ma forse c’è. La legge stabilisce per quali reati si può intercettare. Eppure niente dice sulle tecniche da adottare in materia di trojan», conclude Monteleone. Il rischio dell’illegalità della norma si scontra con il vuoto normativo in materia: come ha però detto lo stesso Palamara ieri sera al Tg2 Post, «Nonostante ci fosse una disposizione chiara dei giudici di Perugia di spegnere il microfono quando incontravo i politici, quel microfono non è stato spento. Voglio capire il perché nonostante una disposizione chiara».