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Home » Esteri » Medio Oriente » PAPA-NETANYAHU/ “Israele parla di ‘errore’ per non irritare i cristiani Usa, ora gli conviene la tregua”

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PAPA-NETANYAHU/ “Israele parla di ‘errore’ per non irritare i cristiani Usa, ora gli conviene la tregua”

Int. Ugo Tramballi
Pubblicato 19 Luglio 2025
Card. Pizzaballa

Card. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme (ANSA-EPA 2025)

Israele costretto a scusarsi per il bombardamento della chiesa a Gaza. Netanyahu vede le elezioni e per avere consensi potrebbe accettare la tregua

Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, e il patriarca ortodosso Teofilo III hanno portato aiuti nella Striscia. Mentre Leone XIV ha avuto una telefonata con Netanyahu, nella quale ha ribadito che l’attacco alla parrocchia Sacra Famiglia di Gaza è ingiustificabile e ha chiesto il cessate il fuoco e la fine della guerra. Stavolta anche gli americani hanno stigmatizzato l’operato dell’IDF, proprio perché sono stati colpiti dei cristiani.


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Il bombardamento della chiesa, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, non è stato un intervento contro i cristiani, ma un episodio di quella che ormai è una guerra di vendetta contro i palestinesi.

Intanto proseguono le trattative per la tregua, con qualche segnale positivo. L’opinione pubblica israeliana è stanca del conflitto e vuole gli ostaggi a casa. E visto che le elezioni dell’anno prossimo potrebbero essere anticipate, Netanyahu potrebbe accontentarla per guadagnare consensi.


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Il Papa che chiede il cessate il fuoco a Netanyahu, il quale, pressato da Trump, si rammarica del bombardamento alla parrocchia di Gaza. Ma perché è stata colpita una chiesa cristiana?

Il governo israeliano non voleva colpire i cristiani, anche se Ben-Gvir e Smotrich credo sarebbero contenti di poterlo fare. La guerra di Gaza non è più una guerra che riguarda la sicurezza, ma una guerra di vendetta nei confronti dei palestinesi tout court. Abbiamo avuto tante conferme in questi due anni: si sono fatte saltare in aria scuole, case, ospedali. C’è odio tra i due popoli. Mentre trent’anni fa il 35% degli ufficiali, dal tenente al colonnello, quelli che combattono in prima linea con i soldati, erano tutti laburisti, democratici, oggi invece questa percentuale, e anche di più, è fatta di giovani ufficiali che vengono dalle colonie. Persone che frequentano le preaccademie militari in alcune colonie e poi entrano nell’accademia militare vera e propria. Sono un numero crescente di giovani ufficiali, ormai anche di alto livello.


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Anche per questo non c’è da stupirsi quando sentiamo che l’IDF appoggia i coloni nelle loro scorribande in Cisgiordania?

Esatto. Quello che sta succedendo in Cisgiordania ne è la prova. Lì l’esercito si gira dall’altra parte quando succedono certe cose. Mi viene in mente un episodio di un paio di settimane fa: i coloni hanno aggredito, distrutto, bruciato, e quando è arrivata l’IDF ha arrestato alcuni palestinesi. I cinque coloni che erano stati fermati, invece, sono stati rilasciati senza contestare nessuna accusa. Questo è oggi Israele, piaccia o non piaccia, quello che dice di essere l’unico Paese democratico del Medio Oriente.

Come mai stavolta, dopo l’attacco alla chiesa di Gaza, si è dovuto muovere Netanyahu in persona?

Gli israeliani si sono sempre presentati come difensori dei diritti religiosi, hanno accusato i giordani perché inizialmente non permettevano loro di andare a pregare al Muro del Pianto, che era, appunto, in territorio giordano. In realtà era una ritorsione perché gli israeliani non facevano rientrare a Gerusalemme i palestinesi ai quali gli israeliani stessi, nel 1948, avevano rubato le case. In questo caso, comunque, per una chiesa, giustamente, si sta mobilitando l’amministrazione americana, ma anche gli israeliani, perché hanno capito di aver fatto un passo falso. Credo che si sia colta l’occasione per portare aiuti umanitari, ai cristiani, naturalmente: non penso che si aprano i canali delle Nazioni Unite.

L’ambasciatore americano in Israele, Huckabee, minaccia di dichiarare che Israele non accoglie i cristiani, paventando ritorsioni per gli israeliani che chiederanno un visto per gli USA. Stavolta anche gli americani si sentono toccati sul vivo?

Gli israeliani su questo tema hanno contro gli americani, in particolare quelli che si rifanno all’ideologia MAGA, che ha come pilastro la difesa della cristianità. D’altra parte, il vicepresidente J.D. Vance, che succederebbe a Trump se quest’ultimo fosse costretto a dare le dimissioni o non potesse più fare il presidente, è cattolico. Insomma, gli israeliani che cacciano i palestinesi, compresi i cristiani, o che bombardano una chiesa, non piacciono nemmeno agli ideologi del MAGA e ai cristiani evangelici schierati con Trump. Huckabee è tra coloro secondo i quali Israele può rivendicare Giudea e Samaria, la Cisgiordania: sosteneva che non esiste un popolo che si possa chiamare palestinese.

Anche i media israeliani ora dicono che le trattative per tregua e liberazione degli ostaggi stanno procedendo; nel contempo, riportano i problemi politici di Netanyahu, il cui governo è stato abbandonato da due partiti religiosi che non vogliono la leva obbligatoria per gli haredi. C’è un legame tra questi due elementi? Il premier rischia la fine del suo esecutivo?

La vicenda dei religiosi è risolvibile: li paghi e li fai rientrare. La loro è una forma di parassitismo: non pagano le tasse, non fanno il servizio militare, il governo paga loro le scuole; paradossalmente, sarebbero anche felici di stare in uno stato palestinese che concede loro tutte le garanzie. Trattativa e futuro politico di Israele, però, sono assolutamente legati. C’è una scadenza di cui bisogna tenere conto: a fine luglio la Knesset chiude per le vacanze estive e riapre a ottobre. A questo punto che Ben-Gvir e Smotrich escano dal governo può anche non interessare molto a Netanyahu: resterebbe al potere fino a che non riapre il Parlamento e non c’è un voto di fiducia.

Come può sfruttare a suo vantaggio Netanyahu questo momento?

Ormai siamo in modalità elezione: dovrebbero svolgersi alla fine del 2026, ma è molto probabile che vengano anticipate alla fine del 2025 o al gennaio successivo. Ora, la gran parte dell’opinione pubblica israeliana è contro l’esenzione dal servizio militare per gli ultraortodossi, che ormai sono quasi il 15% della popolazione: se Netanyahu fa passare la legge che non esonera gli studenti delle yeshivà, ha un ampio consenso popolare. Se, invece, raggiunge un accordo per la tregua, perde la maggioranza di governo, ma anche in questo caso ha dalla sua la gente: la maggioranza degli israeliani è stanca di questa guerra e vuole che gli ostaggi ritornino. Un Netanyahu che, appunto, è già in modalità elezione evidentemente favorirà entrambe le cose. Lo aiuterebbero al momento del voto.

Ci sono davvero le condizioni favorevoli per un accordo con Hamas?

Sì, anche per le pressioni americane. Tant’è vero che la discussione a Doha, dove sono riprese le trattative, è sul corridoio Morag, nel sud della Striscia, dal quale l’esercito israeliano potrebbe decidere di ritirarsi. Si starebbero ridiscutendo i termini della presenza militare dentro Gaza. Cosa che Israele non ha mai fatto prima.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Benjamin NetanyahuDonald Trump

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