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Home » Economia e Finanza » Economia UE » PATTO DI STABILITÀ/ Italia-Francia, l’intesa possibile per fermare il piano tedesco

  • Economia UE
  • Economia e Finanza

PATTO DI STABILITÀ/ Italia-Francia, l’intesa possibile per fermare il piano tedesco

Int. Domenico Lombardi
Pubblicato 26 Aprile 2023
Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis (Lapresse)

Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis (Lapresse)

Tra pochi giorni si dovrebbe tornare a parlare della riforma del Patto di stabilità e crescita. Sul tavolo ci sarà la proposta della Germania

Tra pochi giorni i ministri delle Finanze dell’Ue dovrebbe tornare a parlare della riforma del Patto di stabilità e crescita dopo che all’Ecofin di metà marzo la Germania era riuscita a non far approvare la proposta avanzata dalla Commissione europea alla fine dello scorso anno. Da Berlino nei giorni scorsi è arrivata una controproposta che, ci dice Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, «per quel che se ne legge sulla stampa, visto che il documento non è pubblico, appare tarata per i Paesi ad alto debito, tra cui l’Italia, e anche per quelli che hanno visto aumentare il loro rapporto debito/Pil in misura significativa negli ultimi anni come la Francia, che passerà dal 95,4% del 2015 al 115% che il Fmi prevede per il 2028. Prima di parlarne più specificatamente, credo sia importante una premessa».


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Prego.

Non vanno dimenticate quelle che erano le basi da cui era scaturita la proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita presentata dalla Commissione europea lo scorso novembre. Bruxelles incoraggiava la stabilità fiscale e la crescita dei Paesi membri in un’ottica di medio periodo, privilegiando l’ownership degli Stati membri nella formulazione delle proprie politiche fiscali. Inoltre, voleva semplificare il complesso di regole che dall’introduzione del Patto di stabilità è andato paradossalmente a detrimento della credibilità stessa del Patto, dato che, sfruttando il complesso molto articolato di regole che lo supporta, è stato possibile anche disattenderlo.


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Veniamo, quindi, alla proposta della Germania. Cosa ne pensa?

La proposta tedesca tende a fornire un contributo di maggior dettaglio a quella della Commissione, ma nel farlo introduce dei paletti numerici che restringono il perimetro di ownership delle autorità nazionali, soprattutto per i Paesi a elevato debito, ponendo degli obiettivi annuali alla condotta della politica fiscale. Inoltre, la crescita della spesa primaria netta viene rapportata alla crescita potenziale. Questo significa che l’aumento della spesa pubblica è subordinato alla crescita potenziale, non a quella effettiva. I Governi hanno, quindi, un incentivo a realizzare la crescita potenziale, perché più è alta, maggiore è l’incremento della spesa pubblica concesso. Questo rappresenta un elemento apprezzabile.


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Tuttavia, la crescita potenziale non è semplice da determinare: già in passato vi sono stati scontri tra la Commissione e il Governo italiano su questo parametro.

La proposta tedesca su questo aspetto non fa che reintrodurre o mantenere la diatriba che si è già manifestata. La valutazione della sostenibilità delle politiche fiscali è difficile da ridurre a uno o due parametri, ma va invece formulata nel suo complesso. Questa, peraltro, era una delle premesse da cui è scaturita la proposta della Commissione, che cerca di inquadrare la valutazione della sostenibilità fiscale in un contesto molto più articolato centrato sull’evoluzione delle variabili macroeconomiche e fiscali in un periodo di quattro anni, eventualmente estendibile di altri tre.

Nella proposta tedesca si parla anche di una riduzione minima del rapporto debito/Pil che per i Paesi a debito elevato come l’Italia dovrebbe essere di un punto all’anno. Sembra un obiettivo facilmente raggiungibile…

Si tratta di un obiettivo relativamente agevole da raggiungere in una fase di inflazione elevata e, sino a poco tempo fa, crescente. Fermo restando l’obiettivo di riduzione del rapporto debito/Pil, ritengo preferibile che il raggiungimento di tale obiettivo fosse valutato in un’ottica di medio periodo piuttosto che anno per anno, soprattutto in un contesto di elevata incertezza e di ricomposizione della spesa pubblica come quello attuale- siamo, infatti, chiamati, anche su indicazione dell’Ue, a effettuare maggiori investimenti per la transizione ecologica e quella digitale e ad aumentare le spese per la difesa -. Questo non deve rappresentare un alibi per politiche fiscali imprudenti, tuttavia siamo forse nel periodo meno adatto per introdurre dei limiti rigidi applicabili anno per anno.

Questo è un limite importante della proposta tedesca?

Veniamo da un’esperienza di Patto di stabilità che era nato per dare credibilità alle politiche fiscali dell’Ue e, invece, proprio su questa dimensione ha fallito. Uno degli elementi di maggior criticità, in questo senso, è stata la codificazione anno per anno di alcuni parametri che talvolta sono stati disattesi. La proposta della Commissione europea tende a superare tale criticità prevedendo la valutazione delle politiche fiscali di un Paese nell’arco di un quadriennio con una successiva, possibile estensione triennale, evitando un’attenzione puntuale, anno per anno, che sulla scorta dell’esperienza acquisita sinora non è apparso un approccio particolarmente efficace. Credo, quindi, che questo periodo pluriennale di valutazione sia un aspetto da mantenere in qualsiasi revisione della proposta della Commissione.

Sarebbe importante anche per l’Italia?

Per il nostro Governo sarebbe importante che vi fosse un approccio pluriennale alla valutazione della sostenibilità fiscale, a maggior ragione dato l’alto debito che l’Italia detiene. E dovrebbe cercare di acquisire quanto più possibile margini di flessibilità nel breve medio termine, fermo restando l’impegno a un percorso di riduzione del debito, che, come detto, sarebbe da valutare in un’ottica pluriennale.

In precedenza ha evidenziato che la proposta tedesca appare mirata anche a un Paese come la Francia. Pensa, quindi, che Parigi si opporrà?

A mio avviso credo che sia inevitabile. La Francia ha un rapporto debito/Pil aumentato in misura considerevole negli ultimi anni, anche prima della pandemia. Credo che tra Roma e Parigi potrebbe esserci un’intesa che non deve essere vista come un tentativo di diluire la condizionalità fiscale, ma per individuare il modo migliore e più efficace per raggiungere la sostenibilità fiscale dell’Ue. L’esperienza acquisita nei decenni in cui il Patto di stabilità e crescita è stato in vigore mostra che è necessario cambiare approccio e muoversi verso un’impostazione di medio periodo, fermo restando l’obiettivo di riduzione del rapporto debito/Pil.

Cosa pensa che accadrà a questo punto?

Credo che nelle prossime settimane il lavoro delle Istituzioni europee sarà quello di trovare una sintesi, un punto di equilibrio tra due blocchi di Paesi. Da una parte, quelli che, come la Germania, hanno una visione più concentrata sulla stabilità che non sulla crescita. Dall’altra, quelli che, come l’Italia, pongono maggior enfasi sulla crescita. È chiaro che nel lungo periodo è impossibile avere stabilità senza crescita e viceversa, ma nel breve periodo le autorità di politica economica possono scegliere quale delle due privilegiare. Sinora l’applicazione del Patto ha privilegiato la prima a scapito della seconda. Mi auguro che la sua riforma faccia tesoro dell’esperienza acquisita, nell’interesse della sostenibilità fiscale europea.

(Lorenzo Torrisi)

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Tags: InflazioneEconomia FranciaPatto di stabilità

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