Invalidità e pensioni: la Consulta apre alla dignità, ma non per tutti
Una sentenza attesa da anni ha finalmente messo fine a una ingiustizia storica. Con la pronuncia n. 94 del 2025, la Corte Costituzionale ha sancito un importante principio, ovvero che chi riceve un assegno ordinario di invalidità calcolato interamnete con il sistema contributuivo ha diritto all’integrazione al minimo, purché ne susistano le condizioni.
Si tratta di un deciso passo avanti nella tutela delle persone più fragili, ma non tutti potranno beneficiarne. E soprattutto non ci sarà alcun risarcimento per il passato.
L’assegno di invalidità, una misura fondamentale ma a lungo discriminata
L’assegno ordinario di invalidità è destinato a chi, per gravi motivi di salute, ha visto ridursi di almeno un terzo la propria capacità lavorativa. Non si tratta di una pensione legata all’età ma un sostegno economico rivolto anche a persone giovani che, per via della malattia, non possono più lavorare a pieno regime.
Fino a oggi, però, chi percepiva un assegno calcolato con il solo metodo contributivo (cioè in base ai contributi realmente versati senza correttivi legati alla media retributiva) non poteva contare su alcuna integrazione al minimo. In pratica, anche se la somma percepita era troppo bassa per garantire una vita dignitosa, non era previsto alcun aiuto aggiuntivo.
La Corte: “Una disparità inaccettabile”
La Corte ha stabilito che questa esclusione violava il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. Trattare allo stesso modo chi si trova in situazioni oggettivamente diverse (ad esempio per via dell’età, della salute o della carriera lavorativa interrotta) è una stortura che non può più essere tollerata.
Il messaggio è chiaro: non si può lasciare nell’indigenza chi per cause non dipendenti dalla propria volontà, non ha potuto costruirsi una pensione dignitosa.

L’integrazione al minimo varrà solo per assegni ordinari di invalidità calcolati interamente con il sistema contributivo e con importi inferiori alla soglia minima. Il cambiamento, però, come detto, avrà effetto solo per il futuro, a partire dala data della pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale.
Nessun rimborso sarà dunque previsto per quanto percepito in passato, decisione dettata dalla volontà di contenere l’impatto sui conti pubblici. Chi riceve l’assegno con il metodo misto (parte contributivo, parte retributivo) o ha già un importo superiore alla soglia minima non rientra nei beneficiari.
Lo stesso vale per chi ha peecepito l’assegno in passato ma oggi non è più titolare. Inoltre l’applicazione della misura non sarà automatica. Si attende una circolare INPS che stabilisca le modalità operative a riguardo.
A ogni modo, la sentenza rappresenta senza dubbio un segnale importante di giustizia sociale, a tutela di quei cittadini che per troppo tempo si sono visti negare un riconoscimento fondamentale.
