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Home » Politica » SCENARIO/ 2. Da Berlusconi a Napolitano, tutti i “vorrei ma non posso” che frenano l’Italia

  • Politica

SCENARIO/ 2. Da Berlusconi a Napolitano, tutti i “vorrei ma non posso” che frenano l’Italia

Marco Alfieri
Pubblicato 10 Settembre 2010
Berlusconi_Bossi_TremontiR375_16gen09

Foto Ansa

Voto anticipato: nessuno lo vuole.Tutti tirano la corda ma nessuno vuole spezzarla. E se uscissero allo scoperto i Casini e i Rutelli? Se ne vedrebbero delle belle. di MARCO ALFIERI

Il chiasso davanti alle parole, il fumo davanti alle scelte per il Paese ma soprattutto la tattica, tanta, troppa, davanti alla strategia. La politica italiana di queste ore è peggio che un teatrino sgangherato. Si rincorre il fantasma del voto anticipato, in tanti lo evocano e lo vorrebbero, ma poi nessuno, per ora, ha il coraggio di staccare davvero la spina al governo. La ragione è molto pratica.


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Il piatto è talmente intricato da confondere vantaggi e svantaggi di una crisi al buio. Il vorrei ma non posso è forse la fotografia più adatta a descrivere queste settimane di palazzi romani. Gianfranco Fini vorrebbe rovesciare il tavolo per imboccare un’altra idea di destra italiana, ma deve abbozzare e cautelarsi per non passare dalla parte del torto davanti agli italiani, non restare col cerino in mano, reo di avere infranto il patto con gli elettori, peccato supremo; Silvio Berlusconi vorrebbe andare alle urne immediatamente e rifarsi una maggioranza nuova di zecca senza più il fardello dei finiani ingrati, ma è frenato da sondaggi contrastanti che non gli garantiscono i numeri al Senato, gli restituirebbero un sud gambe all’aria senza più un egemonia granitica e un nord in cui si accentuerebbe il travaso interno verso la Lega.


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Risultato: anche tornando a palazzo Chigi, regalerebbe la golden share al Senatur, sicuro. Così si acconcia suo malgrado al negoziato a oltranza con la “legione straniera”, tentando qualche pseudo abboccamento con esponenti “selezionati” dell’Udc per ricostruire un simulacro di maggioranza e sfangarla, arrivando dritto al 2013. Un vorrei ma non posso è anche quello di Umberto Bossi che crescerebbe sì in voti ma rischierebbe di trovarsi meno decisivo in un nuovo Parlamento dove i rapporti di forza non sarebbero così sbilanciati a destra.

 

E poi dovrebbe cominciare daccapo la parabola del federalismo: spiegarlo ai militanti è un conto, al voto di opinione che lo ha scelto all’ultimo giro ed è meno ipnotizzabile, è più difficile. Allora non resta che alzare il prezzo, tra pernacchio e dito medio, e far ricadere la colpa sugli altri, eventualmente guadagnando la miglior posizione in caso di elezioni. Infine un vorrei ma non posso è anche quello di Giulio Tremonti, silente e ispirato per tutta l’estate, quasi non facesse parte di questo esecutivo ai materassi, che pencola tra la fedeltà adamantina al proprio capo e l’ambizione, nemmeno recondita, di giocarsi in prima persona la leadership.


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E’ difficile insomma capire fin dove si spinge il bluff e comincia l’arrosto. Tutti tirano la corda ma nessuno vuol spezzarla. La paura di bruciarsi prevale ancora sul rompete le righe liberatorio. Per questo si andrà a bordeggiare fino al discorso alla Camera di Berlusconi, fissato per fine settembre: è la dead line che Bossi ha concesso al Cavaliere. Per quei giorni o si ritrova un po’ di bandolo sufficiente a portare a casa il federalismo e a far camminare di nuovo questo governo, o altrimenti sarà il diluvio e qualsiasi scenario potrebbe riaprirsi: certo non il salto della quaglia bossiano, ma l’erosione del patto di ferro con Berlusconi, magari in chiave tremontiana, chissà…

Il tutto facendo, o quasi, i conti senza l’oste, cioè il Quirinale. Forse disponibile a tenere aperto uno spioncino sul voto a primavera, se la maggioranza dovesse sfaldarsi del tutto, ma di certo indisponibile ad un voto pre natalizio. La Costituzione non è un optional, il Colle non potrebbe esimersi dal fare un giro esplorativo e allora se ne vedrebbero delle belle, uscirebbero allo scoperto i vari Casini e Rutelli. Ma soprattutto facendo i conti alle spalle di un paese in apnea da troppi mesi, senza una linea chiara di politica economica, un ministro decisivo vacante da troppo tempo, e una ripresa post crisi ancora tutta da interpretare e consolidare. Più che un vorrei ma non posso, questa volta una certezza.


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