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Home » Politica » DIBATTITO CRISI/ Pamparana: sono indignato, ma non per contratto

  • Politica

DIBATTITO CRISI/ Pamparana: sono indignato, ma non per contratto

Andrea Pamparana
Pubblicato 15 Agosto 2011
rottor400

La crisi in Italia (Fotolia)

La crisi ha svuotato le casse e adesso, commenta ANDREA PAMPARANA, ognuno di noi deve dare il proprio contributo per il Paese. Ma, in cambio, servono rispetto e una buona gestione

“Bambole, non c’è una lira”.

Questo il messaggio forte e chiaro che viene lanciato dalla politica, sia da chi sta al governo, si da chi conduce il gioco all’opposizione.

Ho 58 anni, faccio il giornalista, sono un vice direttore, quindi un dirigente di un’azienda importante come Mediaset. Collaboro da vent’anni con la più seguita radio privata, Rtl 102,5, telespettatori e ascoltatori mi conoscono come l’Indignato speciale, alcuni italiani hanno pure acquistato, nel tempo, i miei libri, una ventina.  Ho un reddito buono, senz’altro, non mi lamento. Soprattutto ho sicurezza del posto di lavoro, fui assunto a tempo indeterminato nell’agosto 1987. Pago le tasse, tutte le tasse, quasi metà del mio reddito va allo Stato, verso da anni i contributi per la pensione e per la cassa dei giornalisti, la Casagit, la vecchia mutua per intenderci. Sono arrivato ad una età in cui non penso più tanto a me stesso, quanto ai miei figli, soprattutto il più piccolo, che ha dieci anni.  Cerco di immaginare il suo futuro, prima negli studi e poi nel lavoro, quindi in generale nella vita. Vorrei che non dovessero partire, come feci io per mille ragioni familiari, da zero, ma da una dignitosa base.


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Ora lo Stato mi chiede di dare il mio contributo ad una situazione di crisi grave, che non è solo italiana, ma globale. Siamo passati dal capitalismo produttivo, che faceva bulloni, a quello finanziario, che produce solo carta, spesso, come s’è visto, molto aleatoria. Ieri, guardando il quotidiano la Stampa, mi sono soffermato sull’immagine di una giovane donna africana con in braccio suo figlio. Entrambi magri, smunti, poveri, ma poveri sul serio. Quella donna e quel bambino non hanno futuro, non hanno acqua né riso per sopravvivere, e soprattutto non hanno alcuna possibilità di sorridere, nemmeno un istante al giorno. Forse non hanno manco le lacrime per piangere.


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So, ne sono sempre più consapevole, che devo trasmettere ai miei figli qualche vecchio concetto che noi abbiamo dimenticato: ad esempio, la ricchezza, il benessere, la serenità, non è data dal possesso di tre cellulari, due macchine e via dicendo, ma dalle non poche occasioni che abbiamo di sorridere e talvolta ridere. Un recupero sostanziale di quei valori che certo i nostri nonni ci trasmisero. Non perché loro fossero più bravi e saggi di noi, ma perché spesso non avevano altro da lasciarci.

Però…

Però voglio che questo Stato, anzi pretendo, esigo che mi rilasci  una ricevuta. Che attesti, nero su bianco, che il mio modesto sacrificio, certo sostenibile con una più oculata gestione, serva anche a coloro che sono stati meno fortunati, e che i miei denari siano utilizzati per il futuro del mio bambino: scuola e lavoro. Vorrei che lor signori dessero per primi l’esempio. Affidate ad esempio la gestione del ristorante del Senato e della Camera ad una società, come avviene in molte aziende italiane, e fatevi trattenere sullo stipendio o pagate con i vecchi ticket restaurant almeno 6 o 7 euro per mangiare. Lo facciamo in tanti, fatelo anche voi. Perché la spigola a poco più di un euro o è cibo per gatti, e quindi vi fa male, o è una presa in giro per i cittadini che ogni giorno tirano fuori il vecchio buono pasto.


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Vorrei anche, scusate se parlo ancora di me e del mio lavoro, in genere 12 ore al giorno, entrare in un ufficio pubblico, qualsiasi ufficio pubblico, ed essere trattato con cortesia, rispetto, secondo l’idea che io sono un cliente e non solo un utente. E se passo alle ore 17 vorrei trovare impiegati al lavoro, possibilmente non in ciabatte. Vorrei che nei Tribunali, dopo le 14,30, le aule fossero piene come al mattino, e alle Asl vorrei una semplificazione delle pratiche, per non perdere tempo inutile e costoso nel labirinto demenziale delle norme della burocrazia.

Anni fa, quando vivevo a Milano, prendevo la Metropolitana linea verde per andare in redazione. Incontravo spesso l’amministratore delegato di una importante azienda. Cappotto elegante, giornali sotto il braccio e cartella in pelle, mischiato con tutti i cittadini milanesi che si recavano al lavoro. Avrebbe certamente potuto usufruire di una bella macchina con autista, pagava invece il suo biglietto e aspettava sulla pensilina l’arrivo del treno. L’ho sempre ammirato, e non solo per questo gesto comune a milioni di cittadini.

Oggi vedo a Roma circolare un’auto blu con autista con a bordo una ex presidente della Camera, un ex presidente della Repubblica e tante mogli ( chissà poi se lo sono sul serio…) di molti onorevoli, funzionari, ambasciatori e via dicendo.

Vorrei anche che donne e uomini della politica mettessero neo su bianco la loro dichiarazione dei redditi. Perché mi piacerebbe capire come certi onorevoli possano permettersi di comprare, restaurare e poi vivere in case extra lusso, in città, pieno centro naturalmente, al mare e  in montagna.

Ecco, basta poco in fondo per rendere meno amaro il giusto sacrificio cui dobbiamo mettere mano. E se poi il pizzaiolo non mi dà la ricevuta fiscale… allora “peste lo colga”.

Sono pessimista, lo ammetto. Però sono sempre più “indignato” e non per contratto. Occhio, signore e signori, perché vedo in giro, io che in mezzo alla gente ci vivo, molte facce arrabbiate e sempre più indignate. Non è detto che a voi possa andare sempre bene, non potete sempre contare sulla pigrizia degli italiani, che si lamentano sempre ma sempre poi finiscono con il pagare.


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