I sondaggi sono impietosi sulla potenziale affluenza nelle urne delle primarie Pd. Questo cambia completamente lo scenario del partito di maggioranza relativa. ANTONIO FANNA
L’ultimo sondaggio di Demopolis che vede un netto calo dell’affluenza alle primarie del Pd, un milione e mezzo di votanti a fronte dei tre per la sfida del 2013 tra Renzi, Cuperlo e Civati, non è una buona notizia né per Michele Emiliano né per Andrea Orlando. Andrà a votare evidentemente la base del Pd che in questi anni si è fidelizzata al renzismo; e il voto Pd non di particolare osservanza renziana — questo emerge dal sondaggio — preoccupato e disorientato anche dall’ultima vicenda Consip, si terrà alla larga dai gazebo, a tutto danno degli sfidanti dell’ex segretario e premier. Preludio probabile, però, di una diserzione nelle urne da un Pd che si presentasse di nuovo a guida Renzi, come in questo quadro appare quasi certo.
Questo aiuta a comprendere tre cose. La prima è la nascita a sinistra del Pd del Movimento dei democratici e dei progressisti animato dai fuoriusciti, per recuperare all’area di centrosinistra voti che il Pd ha perso o era in via di perdere.
La seconda è che l’appeal di Renzi comincia sempre più a somigliare da un lato a quello di Berlusconi: a prescindere cioè dai guai personali, è espressione di un pezzo d’Italia che si riconosce nell’ideologia che l’unica palude da cui conti uscire è quella del (proprio magari) ristagno sociale ed economico; le paludi dei vecchi vizi della politica italiana possono aspettare. Questo ovviamente al netto del seguito di notabilati politici locali che (ancora per adesso) si affidano a Renzi per i loro destini. Ma è un appeal che ha basi, per ovvie ragioni, più friabili e più ristrette di quelle di Berlusconi ai tempi d’oro, anche perché il Cavaliere è ancora in campo e non intende lasciarlo.
La terza è che viene confermata una legge della politica, che ha una sua fisica: un leader che perde malamente su un programma per giunta chiarissimo cui non c’era niente da aggiungere sul piano della potenza propositiva politica e comunicativa, è un leader azzoppato, sul medio periodo perdente, e l’utilità della sua parte politica richiede che si faccia con generosità da parte; che, insomma, se vuole tornare in gioco non può farlo in una logica di rivincita immediata, ma deve affidarsi ad una marcia più o meno lunga.
Risultato netto di queste considerazioni: è altamente probabile uno smottamento tale nelle urne, a cominciare dalle amministrative, che il Pd non sarà più un marchio utile a guidare con successo la coalizione di centrosinistra che l’inclinazione ormai proporzionale della rappresentanza, disegnata dalla sentenza della Corte, renderà necessaria per giocarsi la partita alla politiche contro il centrodestra e Grillo.
Insomma, perché emerga un centrosinistra efficace, un “nuovo ulivo” o come in altro modo lo si vorrà chiamare, tra i suoi concertatori è difficile che possa esserci, a meno di clamorose smentite dagli eventi, l’attuale leadership del Pd.
Unica variante: messo alle strette, potrebbe essere Matteo Renzi a proiettarsi in proprio sullo scenario elettorale con un partito della nazione personale, non più certo maggioritario; ma utile traghetto per nuove avventure di ridisegno dell’offerta politica in Italia.