Ma a chi appartiene la “manina” che ha cambiato il decreto fiscale? Al termine della conferenza stampa relativa al Consiglio dei ministri che si è tenuto oggi sulla pace fiscale, il mistero resta e probabilmente non verrà risolto. In molti hanno avuto la sensazione che il premier Giuseppe Conte abbia voluto prendersi la responsabilità del caos scoppiato per l’inserimento dello scudo fiscale. Quel che è certo è che il presidente del Consiglio ha voluto abbassare i toni sulla vicenda, spiegando che la vicenda è squisitamente tecnica e in quanto tale complessa. «Su quella manina, essendo io presidente del Consiglio, ci tengo a intervenire perché sono garante anche del regolare svolgimento del Consiglio dei ministri», ha risposto Conte quando lui e i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono stati incalzati dai giornalisti. Poi la premessa: «Siamo il governo del cambiamento e della trasparenza. Credo che per la prima volta sia stato spiegato nei dettagli come si è svolto». Conte ha spiegato che l’accordo politico sulla pace fiscale «è stato raggiunto in zona Cesarini», poco prima di entrare al Consiglio dei ministri. E ha confermato che l’articolo 9, quello che conteneva lo “scudo penale”, «non era presente nell’articolato originario con cui siamo entrati nel Consiglio dei ministri».
“TRASCRIZIONE NON RISPECCHIAVA ACCORDO”
«L’articolo 9 è stato redatto nel corso di svolgimento del Consiglio dei ministri». Così il premier Giuseppe Conte ha ricostruito il caso della “manina” in conferenza stampa. «Mi è stato portato questo foglio con l’articolo 9. E ovviamente una norma di natura fiscale è complessa, ha tanti rimandi. Quindi anziché leggere parola per parola ho preferito io riassumere i termini dell’accordo politico raggiunto, riservandoci poi di valutare se la trascrizione tecnica ricevuta in diretta riuscisse ad attuare l’accordo politico». Il problema è nato dopo. Dopo averla letta ci si è resi conto «che dal punto di vista tecnico non rispecchiava» quanto stabilito nell’accordo politico. Da qui la necessità di un’ulteriore deliberazione. «Non potete pensare che alla prima lettura sia tutto chiaro. La traduzione in termini tecnici è complessa. Quando si approva e delibera i testi vengono rimbalzati. E spesso ci sono interpretazioni non volute». La sensazione però è che Conte abbia voluto mettere così una toppa ad uno strappo che stava cominciando ad assumere contorni imbarazzanti.