Memorabili sono rimaste le parole di Enzo Jannacci a proposito del caso Englaro, quando ha dichiarato che se suo figlio si fosse trovato nelle condizioni della ragazza di Lecco, «sarebbe bastato un solo battito delle ciglia» a farglielo sentire vivo. Ed è stato proprio un battito di ciglia a salvare Richard Rudd, destinato a subire la stessa tragica sorte della povera Eluana.
Il giorno 23 ottobre 2009, il quarantatreenne Richard Rudd, ex autista di autobus di Kidderminster e padre di due ragazze, ha un appuntamento con il destino. Mentre si sta recando dalla fidanzata con la sua Suzuki 750cc, viene travolto all’improvviso da un’auto che esce a tutta velocità da una stazione di rifornimento. L’impatto tra i due mezzi è particolarmente violento, come conferma il fatto che Richard sia stato scaraventato a sei metri di distanza dalla moto che guidava.
Fin da subito si comprende la gravità delle condizioni dell’uomo. Viene portato d’urgenza alla Neuro Critical Care Unit dell’Addenbrooke’s Hospital di Cambridge, circostanza che, come vedremo, si rivelerà provvidenziale per Richard.
Anche se inizialmente era in grado di parlare e muove i propri arti, tre giorni dopo l’incidente, a seguito di gravi complicazioni insorte durante l’operazione chirurgica, gli vengono diagnosticati seri danni al cervello ed una paralisi completa. Un ulteriore aggravamento dello stato degli organi interni fa entrare Richard in uno stato comatoso.
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Di fronte all’immagine del proprio congiunto inchiodato al letto d’ospedale, completamente paralizzato, in stato vegetativo e tenuto in vita da una macchina, i familiari non hanno esitazioni, ricordando quanto lo stesso Richard andava ripetendo circa la sua intenzione di non volersi mai trovare, un giorno, «intrappolato in un corpo inutile».
Il padre di Richard, soprattutto, era certo che il proprio figlio non avrebbe voluto vivere in quelle condizioni, e a riprova della propria convinzione citava a tutti il fatto che, durante una discussione su un suo amico paralizzato a seguito di incidente, Richard avesse così ammonito i familiari: «Se dovesse mai capitare questo a me, io non voglio sopravvivere vegetando; io non voglio diventare come lui». Da qui l’intenzione convinta di staccare la spina.
Il padre di Richard, peraltro, come Beppino Englaro, aveva le idee molto chiare sul tema, sostenendo che «mantenere qualcuno vivo artificialmente, mentre soffre e non riesce a migliorare, è come sostituirsi a Dio, in un certo senso, perché significa agire contro natura».
Per sua fortuna, Richard viene affidato alle cure del Professor David Menon uno dei maggiori esperti mondiali del trattamento dei danni al cervello, ed il fondatore, tredici anni fa, proprio della Neuro Critical Care Unit (NCCU) dell’Addenbrooke’s Hospital, una delle più grandi strutture d’Europa con la sua capacità ricettiva di 21 pazienti.
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Pur dichiarandosi propenso a seguire le indicazioni della famiglia e ad assecondare la volontà espressa da Richard, il Prof. Menon suggerisce, comunque, un breve periodo di attesa, giusto per consentire un’ulteriore verifica.
E proprio quando la famiglia Rudd si era preparata mentalmente per dire addio al proprio congiunto, avviene l’imprevisto.
Il Prof. Menon si accorge che Richard, nonostante la gravissima situazione in cui versava, è tuttavia in grado di muovere i propri occhi ed interloquire attraverso tale movimento.
Dal giorno dell’inattesa scoperta, il Prof. Menon dedica tre settimane alla comunicazione con Richard per accertarsi che egli fosse effettivamente consapevole della sua condizione. E’ durante tale relazione comunicativa che il medico chiede per ben tre volte al paziente se intende vivere e continuare ad essere curato, e per tre volte Richard risponde di sì con un movimento degli occhi.
«Lui ricordava di aver avuto un incidente», racconta il Prof. Menon, «ed era consapevole di essere in vita grazie ad una macchina artificiale, e di venire nutrito con un sondino naso-gastrico». Poi gli rivolge la domanda cruciale: «Alla fine ho chiesto se corrispondesse alla sua espressa volontà il fatto di continuare la somministrazione dei trattamenti che lo mantenevano in vita, e lui ha risposto, per tre volte, di “sì”, senza dare segni di esitazione».
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«La possibilità di comunicare attraverso il movimento degli occhi», sono le parole del Prof. Menon, «ha consentito a Richard di avere l’ultima parola sul proprio destino, e tale circostanza ha cambiato tutto. Questo è un punto cruciale, perché noi sappiamo bene che può esistere una grande differenza tra ciò che un paziente dichiara quando è perfettamente sano e ciò che prova quando si trova in un letto d’ospedale».
L’ironia della sorte ha voluto che un’equipe della BBC, venuta a riprendere la scena dell’addio della famiglia Rudd al proprio congiunto, abbia assistito in diretta alla risposta di Richard circa la sua volontà di continuare a vivere. La BBC ha ripreso tutto e ne è nato un documentario intitolato “Between Life and Death” (tra la morte e la vita), che ha riaperto nell’opinione pubblica, com’era inevitabile, il dibattito sul testamento biologico.
La reazione di Richard ha scioccato i suoi cari, facendo loro percepire il tragico errore che stavano per commettere.
All’inizio, in realtà, tutti i familiari ritenevano che il coma dell’uomo – tenuto in vita da una macchina – fosse irreversibile, sebbene tale categoria di coma non esista. In questo senso, hanno commesso lo stesso errore dei giudici della Corte d’Appello di Milano, i quali, contrariamente alle evidenze scientifiche, hanno reputato non più reversibile la condizione di Eluana Englaro.
Nel caso Rudd l’imprevisto epilogo della vicenda ha fatto rivedere a tanti le posizioni assunte inizialmente.
Il primo a cambiare idea è stato proprio il padre di Richard.
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Ha confessato di essere stato colpito maggiormente dal fatto che Richard avesse cambiato idea e non potesse comunicarlo. «Mi tormenta il pensiero», ha affermato il genitore, «che mio figlio fosse in grado di ascoltare le nostre discussioni sulla decisione di farlo morire, e non riuscisse assolutamente esprimere la sua reale volontà».
Il signor Rudd senior ha rivisto persino le sue posizioni sul testamento biologico: «Per quanto mi riguarda, sono contento che Richard sia vivo e che non abbia fatto testamento biologico. Se l’avesse fatto, non avremmo mai saputo se valeva la pena continuare a curarlo».
«Quante volte», ha ricordato ancora il padre di Richard, «ci mettiamo a chiacchierare al pub o al lavoro e preghiamo gli amici di staccare la spina se dovessimo restare in vita grazie ad una macchina; ma questa è pura astrazione, perché nessuno sa mai esattamente cosa vuole, fino a che non si trova concretamente di fronte alla realtà che lo rende fragile».
Ha poi parlato della sua esperienza personale: «Se sei chiamato, come familiare o come amico, a decidere per qualcuno che non è in condizione di farlo, a volte hai la sensazione di decidere tu per lui. E in fondo, forse nessuno ha davvero il diritto di farlo».
Parlando, poi, a proposito delle difficili condizioni in cui si continua a trovare il figlio, ha precisato: «Certo non è lo stesso Richard che conoscevamo prima, ma è sempre lui quando sorride mentre si parla del passato o quando guarda commosso le sue ragazze».
Ora, infatti, nove mesi dopo l’incidente, Richard può muovere lentamente la testa di qualche centimetro, può sorridere ed esprimersi col volto. Pur avendo sempre bisogno di continua assistenza, è comunque in grado di avere relazioni con i genitori e con le figlie Carlotta di diciotto anni e Bethan, di quattordici.
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Attualmente, si trova in un’unità di cura vicino casa, nel Worcester, e spera quanto prima di essere ricoverato allo Stoke Mandeville Hospital, dove potrà essere sottoposto ad una terapia riabilitativa per recuperare l’uso della lingua e dei muscoli facciali.
Il caso Rudd dimostra quanto sia fragile e pericoloso il tentativo di ricostruire una volontà ex post, sulla base di affermazioni rese en passant, com’è avvenuto nella vicenda di Eluana Englaro. Noi non sapremo mai quale fosse la reale volontà di quella ragazza nel momento in cui le è stata tolta la vita. Non sapremo mai se lei, come Richard Rudd, avesse cambiato idea e deciso di non voler morire. E questa incertezza getta un’ombra inquietante sul decreto 9 luglio 2008 emesso dalla Corte di Appello di Milano, in cui è stato disposto l’«accudimento accompagnatorio» di Eluana Englaro verso la morte.
Se fossi uno dei giudici che ha partecipato a quella decisione, non riuscirei a restare indifferente rispetto a quanto accaduto a Richard Rudd, e avvertirei la vertigine del dubbio. Quella vicenda del motociclista di Kidderminster non potrebbe non dilaniare la mia coscienza di uomo e di magistrato.