Lucrezia Reichlin e Veronica De Romanis guidano sulla stampa italiana l'attacco all'accordo Usa-Ue sui dazi
Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera ha bollato l’accordo Ue-Usa sui dazi come un “grande cedimento”, sbagliato e inaccettabile.
La figlia di Alfredo Reichlin (pupillo di Palmiro Togliatti e poi delfino di Pietro Ingrao nel Pci) e di Luciana Castellina, fondatrice del Manifesto, vive da molti anni a Londra, dove insegna alla London School of Economics, storico think tank della sinistra europea. È stata quindi testimone diretta del “cedimento” della Gran Bretagna (retta da un gabinetto laburista) a Donald Trump sul fronte dazi: maturato a quota 10% già l’8 maggio, appena un mese dopo l’inizio dell’offensiva globale della Casa Bianca sul fronte commerciale.
Eppure su questo, nel lungo j’accuse sul Corriere, non vi è che un passaggio fugace e assolutorio: la Gran Bretagna sarebbe giustificabile nel suo celere “cedimento” transatlantico in quanto “economia piccola e vulnerabile” (sic: il Paese post-imperiale della City, spavaldo scissionista dall’Ue, da tre anni vero quartier generale della Nato guerrafondaia in Ucraina contro la Russia).
Reichlin – capo del dipartimento ricerche della Bce nei tre anni precedenti il crack di Wall Street nel 2008 – è d’altronde molto polemica sulla nuova “impreparazione” dell’Ue verso Trump dopo quella che nel 2011 a suo avviso rese più grave la crisi del debito pubblico. Lei, sicuramente, è incorsa in qualche problema di valutazione degli scenari come consigliere d’amministrazione di UniCredit dal 2009 al 2018: la banca fu costretta a cambiare Ceo in fretta e furia e a varare una ricapitalizzazione monstre.
Poco dopo Reichlin accettò l’offerta del finanziere Vittorio Malacalza per la vicepresidenza di Banca Carige, già pericolante e discussa. L’economista si dimise in meno di cento giorni, giusto in tempo per sfuggire al commissariamento deciso infine dalla vigilanza Bce.
Un’altra economista italiana di credo anglofono, Veronica De Romanis, sulla Stampa ha riservato alla prima Presidente rosa della Commissione Ue una critica ancor più radicale: nel golf club scozzese di Trump avrebbe commesso un “colpo di Stato”. Un’accusa precisa e grave: la Presidente della Commissione avrebbe violato un mandato, formale o informale, si suppone concordato con i leader dei 27 Paesi-membri dell’Ue. Ma nessuno – almeno finora – ha sollevato la questione: tanto meno il Presidente del Consiglio europeo, il portoghese Antonio Costa, superiore istituzionale diretto di Donna Ursula.
Né De Romanis e i suoi colleghi si erano sentiti di lanciare un solo warning fra sabato e domenica scorsi, quando il summit Ursula-Donald era divenuto ufficiale. Quando tutti i media europei accreditavano già per l’Ue una soluzione “giapponese” (dazi base al 15% con rinuncia tendenziale alla web tax). Quando tutte le cancellerie europee hanno taciuto (terrorizzate unicamente dalla prospettiva che Trump rovesciasse il tavolo di un accordo “maledetto e subito”, isolando l’Ue nel ruolo di nemico irriducibile dell’America).
Chi invece avvicinò – con poche ombre di dubbio – un “colpo di stato” nell’Ue fu il marito di De Romanis: Lorenzo Bini Smaghi. Nell’estate 2011 era membro dell’esecutivo Bce, in attesa che Mario Draghi ne assumesse formalmente la presidenza. L’economista fiorentino sottoscrisse quindi – con il Presidente uscente Jean Claude Trichet e quello designato proveniente da Bankitalia – il diktat-austerity all’Italia, bombardata via spread dalle agenzie di rating Usa e dalle maxi vendite di Btp da parte di alcune banche europee.
Silvio Berlusconi, cacciato da Palazzo Chigi dal Presidente Giorgio Napolitano (vecchio compagno di partito di Reichlin Sr, ndr) non vi tornò mai più. Bini Smaghi, invece, è dal 2015 presidente del Consiglio di sorveglianza del colosso francese Societe Generale: uno dei gangli del potere finanziario del Presidente Emmanuel Macron.
Né Reichlin, né De Romanis rispondono in termini minimi – anzitutto economici – alle questioni vere: cos’avrebbe dovuto fare, cosa dovrebbe fare l’Europa – e quindi il suo esecutivo – di fronte ai cambiamenti bruschi e accelerati impressi dagli Usa di Trump agli scenari geoeconomici? Cos’avrebbero fatto loro nei panni di von der Leyen o della Premier italiana Giorgia Meloni?
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