Emmanuel Macron è riuscito a imporre Lagarde alla guida della Bce, ma questo non ha impedito problemi ai conti pubblici francesi
Fra i protagonisti (colpevoli) dell’Europa “evaporata” denunciata da Mario Draghi è difficile non annoverare fra i primi Emmanuel Macron. Il presidente francese non avrebbe forse visto di cattivo occhio il premier italiano sulla poltrona di Ursula von der Leyen a Bruxelles, ma – travolto dalle sconfitte elettorali in Europa e in casa – un anno fa è corso a far lega con un altro euro-zombie come il Cancelliere tedesco Olaf Scholz. Sono riusciti a imporre Ursula-2, ma non a estromettere Roma dalla governance Ue.
Cinque anni prima Macron aveva approfittato dell’euro-ascesa di Ursula 1 per piazzare la “sua” Christine Lagarde al posto di Draghi al vertice Bce. Ma da allora sia la Banca centrale dell’euro sia la Francia hanno sistematicamente tradito il leggendario whatever it takes del banchiere euro-italiano.
Lagarde ha confermato di non avere né la statura tecnica, né il carisma personale e politico di Draghi per pilotare la politica monetaria dell’eurozona in assenza di una vera politica fiscale europea (il Recovery Plan – primo esperimento di vero euro-debito – è stato ispirato da Draghi appena uscito da Francoforte). Mai pervenuta – Lagarde – su un fronte strategico come quello dei dazi sparati da Trump o delle conseguenze economiche della fine della guerra russo-ucraina piuttosto che del suo prosieguo.
Per l’Eliseo parla lo spread, storico mantra-fatwa contro l’Italia. Il 1 luglio 2019 – quando il Consiglio Ue si riunì e designò von der Leyen e Lagarde – l’Italia pagava per il suo debito 184 punti in più rispetto alla Francia. Ieri il differenziale era 12,8 (era a 160 nell’ottobre 2022, quando il Governo Meloni ha giurato).
Mentre i media francesi strillano (ma dimenticano l’austerity che il francese Jean Claude Trichet impose dalla Bce all’Italia nel 2011), Macron non ha trovato niente di meglio da fare che convocare l’ambasciatore italiano per protestare contro una presa di posizione – legittima ed eminentemente politica – del vicepremier Matteo Salvini. Il quale – a differenza di Macron – è componente della presidenza di un Governo da tre anni dotato di salda maggioranza parlamentare. Non è certo l’ambiguo capo semipresidenzialista – ampiamente sfiduciato alle urne – di un Governo privo di vera maggioranza all’Assemblea nazionale.
Un presidente e un premier entrambi incapaci, a Parigi, di tenere sotto controllo i loro conti pubblici, in sofferenza da anni. Capace ormai soltanto, Macron, di querelare un’influencer americana pur di sfogare un anti-trumpismo volenteroso ma presto evaporato. Forse con Draghi a Bruxelles oggi non dovrebbe affrontare una Francia-polveriera, contando ormai poco anche in Europa. E dimenticando ostinatamente che dal fronte russo si ritirò a pezzi perfino Napoleone.
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