In questi giorni si è acceso il dibattito sulla maturità, sull’esame di Stato al termine della scuola secondaria di secondo grado. Certamente il tema è importante e suscita l’interesse di molti. Sarebbe però inopportuno perdere di vista tutto il resto, gli altri gradi scolastici. Ma anche se ci si vuole concentrare sulla maturità, essa non è un punto di arrivo, rappresenta piuttosto un passaggio importante nella formazione dei giovani. Quindi è importante mantenere un senso di prospettiva. Per i giovani interessati non termina il loro percorso formativo. Anche loro avranno bisogno di aiuto e supporto, come tutti gli altri.
Tutti parlano degli effetti negativi della sospensione delle lezioni in presenza sugli apprendimenti, ma in Italia non abbiamo dati per quantificare questa perdita. Potrebbe essere molto rilevante o non così drammatica. Semplicemente non lo sappiamo. Nessuno lo sa per il semplice fatto che non disponiamo di alcun dato affidabile su larga scala. Altri paesi europei hanno seguito una strada diversa. Pur avendo chiuso le scuole per periodi più brevi, hanno comunque avviato rilevazioni standardizzate censuarie per quantificare il cosiddetto learning loss e per assumere decisioni conseguenti, informate da dati empiricamente solidi e generalizzati. Anche le prove standardizzate hanno per loro natura dei limiti, ma rappresentano uno strumento molto utile se si vogliono confrontare gli esiti che si realizzavano prima della pandemia e quelli attuali.
A settembre 2020 l’Ocse ha pubblicato uno studio molto importante in cui i due autori (Hanushek e Wössman), riprendendo lavori per i quali hanno ottenuto importanti riconoscimenti in campo internazionale, si pongono la seguente domanda: qual è l’impatto della chiusura della scuola nel medio-lungo periodo sulla ricchezza di un paese? I risultati ai quali giungono gli autori sono decisamente molto allarmanti. Si stima che la perdita del 25% di un anno scolastico (circa 50 giorni di scuola) si traduca a livello individuale nella diminuzione media dell’1,9% annuo di reddito per ogni studente e per tutta la sua vita lavorativa. Se la percentuale di giorni persi sale al 33% (circa 70 giorni di scuola) la perdita del reddito diventa del 2,6% per raggiungere il 3,9% di reddito se i giorni persi di scuola fossero circa 100. A livello collettivo la perdita economica stimata è ancora più alta. Scuole chiuse per 50 giorni mettono a rischio l’1,1% del Pil annuo, per arrivare all’1,5% annuo del Pil se la chiusura delle scuole fosse di circa 70 giorni.
Fra qualche settimana dovrebbero iniziare le prove Invalsi 2021. Esse potrebbero fornirci le informazioni di cui abbiamo bisogno per cercare di quantificare il learning loss su tutta la popolazione di alcuni gradi scolastici particolarmente significativi. Se ci privassimo di questo dato anche per il 2021, dato che nel 2020 le prove Invalsi non si sono svolte, ancora una volta l’Italia non disporrebbe di dati che potrebbero invece essere molto utili per predisporre azioni rimediali a supporto delle situazioni più difficili. Certamente i dati Invalsi dovranno essere integrati con altre informazioni, ma è indubbio che permetterebbero finalmente di valutare il learning loss con maggiore certezza e precisione.
Dallo scoppio della pandemia le scuole sono state chiuse fino al termine dell’anno scolastico scorso e poi da ottobre di quest’anno, in diverse aree del Paese, sono state sospese le lezioni in presenza, soprattutto per la scuola secondaria di secondo grado. Ancora oggi, parte della didattica avviene in remoto, la cosiddetta Dad. La Dad è stata e potrà essere anche in futuro uno strumento molto utile e con molte potenzialità, ma non può sostituirsi alla didattica in presenza, a meno di sopportare importanti perdite negli apprendimenti conseguiti dagli studenti. La sospensione della didattica in presenza in Italia è stata molto lunga. L’Italia è stato il primo paese occidentale travolto dalla pandemia e quindi ha dovuto affrontare l’emergenza senza potersi confrontare con situazioni simili per condizioni di partenza.
La Dad è stato ed è uno strumento molto utile, essenziale, ma non possiamo pensare che essa sia uguale alla didattica in presenza. Partendo da questa considerazione, bisogna evitare in tutti i modi di incorrere nell’errore di pensare alla valutazione come a una punizione. Gli esperti ci dicono che valutare significa attribuire valore, ci consente di conoscere per migliorare. Se è vero come è vero che la valutazione significa questo, c’è da domandarsi quale possa essere un momento che abbia più necessità di quello attuale di valutare, di avere dati solidi per intervenire in aiuto in tutte quelle situazioni in cui ce ne sarà bisogno e sappiamo che queste situazioni potrebbero essere veramente tante.
Se partiamo da questo punto di vista, è importante che le prove Invalsi 2021 si svolgano in tutti i gradi scolastici in cui sono previste (II e V primaria, III secondaria di primo grado, II e V secondaria di secondo grado). Anche l’ultimo anno di scuola, quello della maturità, non può essere trascurato. I giovani che a luglio conseguiranno il diploma non hanno frequentato circa la metà del quarto anno e la metà del quinto. Possiamo non occuparci di questi giovani? Essi usciranno dalla scuola con un diploma, ma i loro apprendimenti richiederanno azioni di supporto. Questi allievi non potranno essere aiutati dai loro attuali insegnanti poiché la scuola superiore per loro sarà finita. Ma possiamo immaginare di non fornire al sistema una informazione sul loro raggiungimento delle competenze di base? È e sarà responsabilità di tutti, anche dell’università, di cercare di aiutare questi studenti. Inoltre, non dimentichiamo che aiutando loro, il sistema aiuta tutta la società, aumentando la possibilità che il Paese disponga delle competenze necessarie per riprendere a crescere.
Sarebbe un grande errore limitare tutto il dibattito sulla maturità. Cerchiamo di fare solo errori nuovi. Certamente l’ultimo anno delle superiori è molto importante, porta con sé emozioni e ricordi impressi nella memoria di tutti, ma non possiamo sottrarci dal considerare tutto il percorso formativo, a partire dalla scuola primaria.
Se si prova a ragionare nella prospettiva prima richiamata, allora risulta più semplice affrontare la questione se le prove Invalsi debbano costituire o meno in quest’anno così particolare requisito di ammissione all’esame di licenza media e di maturità. La possibilità di mantenere la natura di requisito di ammissione dipende in primo luogo dalla possibilità di tenere aperte le scuole. Se ciò sarà possibile, non si vede perché no. Ma cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sul punto.
In base a quanto previsto dalla legge, il requisito di ammissione è il sostenimento della prova Invalsi e non il suo esito. Si legge da più parti che, in una situazione come quella attuale, mantenere il requisito di ammissione penalizzerebbe gli studenti. Non si capisce come. Torniamo allo stesso punto. La valutazione non va intesa come punizione, tanto meno una prova che comunque non incide in alcun modo sul voto dello studente. La cosa più importante è che le prove le sostengano tutti o, quanto meno, il numero più alto possibile di studenti. È chiaro che se la situazione sanitaria renderà impossibile ad alcuni studenti, speriamo di no, di svolgere le prove, allora questo ostacolo non potrà e non dovrà impedire di essere ammessi all’esame finale. Sarebbe però inopportuno rendere facoltativo lo svolgimento delle prove.
L’esperienza insegna, non solo in Italia, che in questo ultimo caso le prove non sarebbero svolte dagli studenti con livelli di competenza più bassi. Ciò significherebbe non avere dati per intervenire a favore di chi ne avrebbe più bisogno. I dati Invalsi passati, confermati dall’esperienza di tutti gli altri paesi avanzati, ci dicono che nelle situazioni di maggiore difficoltà gli studenti e le scuole tendono a non sostenere le prove. Se non si porrà attenzione a questo fatto, ancora una volta, non sapremo come intervenire nelle situazioni di maggiori difficoltà.
In conclusione stiamo tutti attraversando un periodo molto difficile, pieno di incognite. Giustamente, com’è opportuno che sia, la scuola è al centro del dibattito pubblico. Anche questa è una grande occasione. È importante non sprecarla. La maturità è certamente un momento molto importante, ma non può assorbire tutta l’attenzione e tutti gli sforzi. Per aiutare la scuola, gli studenti e quindi tutto il Paese abbiamo bisogno di dati attendibili e comparabili. Non per fare classifiche che non servono, ma per individuare con la massima precisione possibile le situazioni di maggiori difficoltà e i punti di eccellenza dai quali trarre spunto per tutte le scuole. La valutazione di scuola non ci aiuta molto in questa direzione. Essa è fondamentale e insostituibile per seguire lo studente durante il suo percorso formativo, ma per costruzione è relativa alla singola classe, alla singola scuola. Se vogliamo sapere se i traguardi fondamentali di apprendimento, stabiliti dal legislatore e non da Invalsi, sono stati raggiunti abbiamo bisogno di misure standardizzate.
La sinergia tra i due tipi di valutazione rappresenta un’occasione importante che non possiamo perdere. Del resto, la valutazione intesa in tutte le sue forme non è un lusso dei tempi agiati, ma soprattutto una necessità dei tempi difficili. Disporre di misure standardizzate è in primo luogo un diritto degli studenti, oggi più di ieri, e bisogna tenerne conto.