Dopo l'incontro con Putin, Trump forza una pace USA-Russia. L'UE, umiliata, accetta senza ottenere garanzie reali per Kiev. Due scenari possibili

Tre giorni dopo lo storico incontro con Putin in Alaska del 15 agosto, Trump ha convocato precipitatamente il nucleo duro dell’Occidente alla Casa Bianca. Presenti Macron (Francia), Merz (Germania), Meloni (Italia), Starmer (UK), Stubb (Finlandia), Rutte (NATO) e von der Leyen (Commissione UE), che hanno accompagnato Zelensky (Ucraina). Nel corso della riunione si è anche tenuta una telefonata di Trump a Putin (Russia). Oggetto della riunione: il processo di pace tra Ucraina e Russia.



L’obiettivo strategico di Trump: liberare gli Stati Uniti dal coinvolgimento voluto da Obama e da Biden nella guerra alla Russia che, seguendo la dottrina di Zbigniew Brzezinski, prevedeva il passaggio dell’Ucraina al campo occidentale (NATO/UE), con conseguente partizione della stessa Russia. Nell’accoglierli Trump ha detto che “Gli europei sono la prima linea di difesa perché sono lì, ma anche noi li aiuteremo. Saremo coinvolti quando necessario”.



Nessun cessate il fuoco, nessuna tregua, ma la pace tra Stati Uniti e Russia nel quadro delle relazioni globali in divenire degli Stati Uniti con India e Cina. È in questo progetto strategico americano, una vera rivoluzione copernicana che ribalta gli ultimi trent’anni, che Trump ha inquadrato i convocati alleati europei e l’Ucraina.

Una decisione ferma e irrevocabile che deve essere attuata con la massima rapidità: a inizio settembre ci saranno le celebrazioni a Pechino per l’ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, e Trump potrebbe parteciparvi; e a novembre inizia la campagna per le elezioni di mid-term, che Trump vuole vincere.



Questa decisione di Trump serve anche per ricompattare la base MAGA del suo elettorato, distratto sia dal coinvolgimento statunitense con Israele nelle guerre mediorientali, sia dal mefitico affare Epstein (nel quale Trump si trova invischiato e vuole che lo si dimentichi).

Barak Obama e Donald Trump (Foto: ANSA)

Dietro un’ostentata unità, i convocati hanno offerto a Trump quel che lui chiedeva in siparietti e scene piuttosto patetiche. Il tentativo di Merz di avere come precondizione un cessate il fuoco è stato rapidamente derubricato come inutile da Trump, ed era stato già bocciato da Putin. Le fanfaronate del francese Macron di dispiegare soldati europei e inglesi in Ucraina lungo i 1200 km di linea del fronte sono apparse irrealizzabili (mancanza di uomini e mezzi), e la Russia ha rifiutato qualsiasi presenza di soldati di Paesi NATO in Ucraina.

L’onirico simil articolo 5 fieramente sbandierato dall’italiana Meloni non ha trovato diretta opposizione (tanto non ha alcun senso!), ma Trump ha chiarito che gli USA non ci saranno, cioè “garantiranno in qualche modo” (nulla!) attraverso un “coordinamento”. Il più composto, già nell’abbigliamento, è stato Zelensky, che ha praticamente detto sì a tutto: dall’acquisto di 100 miliardi di armi americane a debito con i soldi europei, al poter incontrare Putin in un bilaterale prodromico all’ipotetico trilaterale con Trump. Il più concreto è stato il finlandese Stubb, che ha ricordato come i confini europei siano stati spostati più volte, anche per il suo Paese nel ’44 con lo scambio “territori per la pace”.

Da questa brigata di convocati non è venuto nulla, nessun contributo strategico. Essi si sono limitati a pretendere “solide garanzie di sicurezza” per l’Ucraina, ma anche per l’Europa. Ossessionati dalla percezione dell’aggressività della Russia – Macron, folgorato da Starmer, ha dichiarato: “Non sono convinto che anche il presidente Putin voglia la pace” –, gli europei, in un atto di vera sottomissione, hanno supplicato gli Stati Uniti di non lasciarli da soli. Trump ha incassato la sottomissione europea rassicurandoli con frasi di rara vacuità: “gli ucraini li aiuteremo in qualche modo”, e in Europa “saremo coinvolti”.

Dietro questa coreografia diplomatica resta il fatto che nessuno vuole morire per Kiev, né americani né europei, ma che in qualche modo si deve trovare una soluzione che metta fine a questa inutile guerra.

Concretamente, l’unica garanzia di sicurezza per l’Ucraina, cioè la sicurezza che non sarà attaccata dalla Russia, consiste nel suo cessare di essere una minaccia per la Russia. Se non rappresenta un pericolo per la Russia, questa non la attaccherà. Ma se viene usata come testa d’ariete per destabilizzare la Russia e minacciarla ai suoi confini, i russi si difenderanno e cercheranno di estirpare il pericolo. Per questo i russi parlano di “radici e causa del conflitto” che devono essere rimosse.

Di conseguenza, più si riempie di armi l’Ucraina, più la Russia è minacciata, sicché attaccherà sempre più violentemente l’Ucraina, sino a estirpare la minaccia. La pace si costruisce con un nuovo principio di sicurezza per tutti.

Chi pensa di poter garantire la sicurezza dell’Ucraina minacciando la sicurezza russa vuole che la strage continui. Le fantasie di creare un simil articolo 5 per l’Ucraina o, peggio, di usare l’articolo 42.7 del TUE che prevede un tipo di garanzia di sicurezza collettiva e reciproca che può essere estesa anche ai Paesi candidati all’accesso, non sono utili. Infatti, l’articolo 42.7 fa esplicito riferimento alla “NATO come meccanismo fondamentale per la difesa degli Stati dell’UE che ne sono membri” e indubbiamente questa possibilità sarebbe frettolosamente rifiutata dalla Russia.

Sciocchezze come il club dei volenterosi vanno nella direzione opposta alla pace. L’unica soluzione credibile (e realizzabile) è stata richiamata da papa Leone XIV durante il Giubileo dei giovani: una nuova Helsinki. L’unica opzione che può avere una certa credibilità è una dichiarazione, europea e americana, che chieda di ricostruire un’architettura di sicurezza collettiva europea a lungo termine. Tale processo dovrebbe essere promosso dall’UE in un dialogo trilaterale con gli Stati Uniti e la Russia.

Un tale processo è l’unico credibile alla luce dei retaggi storici che determinano le esigenze dell’UE. Evidentemente, l’Ucraina, in quanto Paese candidato all’accesso all’UE (e possibile futuro membro), sarebbe garantita nella sua sicurezza all’interno di un tale quadro. Purtroppo, con gli attuali vertici diplomatici e di difesa europei, l’estone Kallas e il lituano Kubilius, è una speranza vana.

Si delineano due scenari.

Primo scenario. L’Ucraina e la Russia accetteranno un accordo di pace e gli Stati Uniti e l’Europa faranno del loro meglio per far funzionare l’accordo di sicurezza del dopoguerra. È uno scenario di base, ma sarà difficile da realizzare, dato che la questione dei territori è particolarmente difficile. Il punto di partenza dei colloqui dovrebbe essere la situazione militare esistente – non le massime richieste della Russia o dell’Ucraina – e dovrebbe poi essere seguito da negoziati dettagliati.

Il secondo scenario. I colloqui di pace andranno avanti, ma falliranno. Trump, quindi, incolperà Zelensky e si disimpegnerà attivamente dal sostenere l’Ucraina (la coreografia dei sorrisi inganna!). Ricordiamoci che Trump vuole uscire da questa guerra con il successo di un processo di pace e non ha intenzione di tirarsi indietro (sogna anche il Nobel per la pace!). Questo scenario sarebbe molto negativo per l’Ucraina e per l’Europa. L’America si ritirerebbe, questa volta per davvero. Gli europei sarebbero costretti a sostenere l’Ucraina e a costruire una nuova infrastruttura di sicurezza senza il sostegno degli Stati Uniti.

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