Riforma pensioni 2023: cambio di rotta del Governo Meloni
Per quanto concerne la riforma pensioni 2023 il governo si era impegnato a raggiungere una soluzione entro il mese di aprile, dove molto probabilmente avrebbe messo giù almeno una bozza da presentare entro maggio.
Il governo ha sempre dichiarato di voler andare verso quota 41 secca, anche se questa proposta si è portata dietro una valanga di critiche. Ecco quali sarebbero gli svantaggi e quali sono le reali cause alla base del cambio di rotta.
Riforma pensioni 2023: quota 41 per tutti, ma non secca
Anzitutto è molto difficile trovare coloro che avranno raggiunto 41 anni di contributi continuativi conteggiati integralmente quel sistema contributivo. E poi , dato l’impegno necessario per il raggiungimento di tutti i requisiti per la exit lavorativa, questa avrebbe necessariamente penalizzato i giovani e quindi non sarebbe stata una riforma strutturale, o almeno una riforma pensioni che potesse guardare avanti. Adesso si parla di un tavolo di dialogo tra il governo, i sindacati e Confindustria che raggiungerà quota 41 gradualmente, quindi la riforma pensioni non sarà più strutturale e nemmeno uniforme, ma procederà necessariamente per step. Da un lato si tratta di una buona notizia, dall’altra invece getta altre ombre sulla crisi del sistema previdenziale italiano, già troppo costoso secondo l’Europa e che rischia di incrementare sempre di più nei prossimi anni.
Riforma pensioni 2023: perché Marina Calderone ha cambiato idea?
Entro la fine della legislatura quota 41 diventerà gradualmente una soluzione utile per tutti. Evidentemente il governo dovrà necessariamente servirsi di altri strumenti da integrare alla Riforma pensioni 2023, come opzione donna e ape sociale, ma anche considerare le singole situazioni delle lavoratrici e dei lavoratori di tutte le età gradualmente e, comunque, entro il 2024 quota 41 diventerà la soluzione universale, quella realmente resa strutturale, così come aveva ampiamente preannunciato.
Eppure mentre i conti dello Stato rischiano di saltare in aria al punto che il governo ha dovuto sospendere il superbonus 110% e la cessione dei crediti incagliati per 100,5 miliardi di euro, risulta ancora difficile credere all’idea che si possa lavorare ad una riforma pensioni strutturale Anche se questa dovesse essere varata nel 2024.