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Home » Lavoro » Pensioni » Riforma pensioni 2023/ L’obiettivo del governo è la “quota 41 pura”: servirà davvero?

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Riforma pensioni 2023/ L’obiettivo del governo è la “quota 41 pura”: servirà davvero?

Maria Melania Barone
Pubblicato 2 Gennaio 2023
Meloni, Chigi

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio (LaPresse, 2022)

Riforma pensioni 2023, il ministro Marina Calderone è convinta di poter presentare la legge strutturale ad aprile 2023, ma la quota 41 pura potrebbe tagliare fuori un'intera fascia di lavoratori

Il governo Meloni ha finalmente varato la legge di bilancio 2023 che è andata in vigore il primo gennaio del nuovo anno. Ma questa legge di bilancio comprende alcune normative che riguardano opzione donnaquota 103.

Riforma pensioni 2023: il sistema delle quote per giungere ad una quota 41 pura


Come abbiamo visto però il sistema delle quote che si sono avvicendate nelle varie leggi approvate dal Parlamento negli ultimi anni non sono riuscita a dare all’Italia una legge strutturale vera e propria, di quelle che restano e che costituiscono una pietra miliare nel sistema previdenziale statale. Questo non è potuto accadere perché il sistema previdenziale italiano in una fase di transizione dal sistema retributivo è quello contributivo e, quindi, una legge strutturale sarà possibile, stando alle parole di Elsa Fornero, soltanto a partire dal 2030, cioè l’anno in cui entrerà al 100% il regime contributivo puro.

Eppure il governo Meloni è convinto di poter elaborare una legge strutturale già a partire dall’aprile 2023, quindi dopo la presentazione del def, il documento di Economia e Finanza, il governo Meloni potrebbe già presentare la propria riforma pensioni 2023, che possa contenere degli elementi strutturali da riproporre e poi adattare gli anni successivi. Sarà vero? E soprattutto cosa vuole realizzare il governo?


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In realtà non ne ha mai fatto mistero né Giorgia Meloni, né Giorgetti e nemmeno il nuovo ministro del lavoro Marina Calderone: il governo vuole una quota 41 in purezza. Significa che l’obiettivo del Governo è arrivare ad una legge che consente l’exit lavorativa soltanto al raggiungimento dei 41 anni e 10 mesi di contributi. Il problema però è proprio questo: come arrivarci e, soprattutto, cosa possono essere calcolati all’interno dei 41 anni e 10 mesi di contributi? Perché attualmente una simile mole di anni di contributi possono averla soltanto coloro che hanno cominciato a lavorare a vent’anni e, in Italia, questo è ritenuto impossibile. Di fronte al quadro attuale appare oltretutto evidente che la prossima legge sulle pensioni dovrà contenere necessariamente un ascensore previdenziale che contempli i fondi pensione integrativi e complementari.


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Riforma pensioni 2023: perché la “quota 41 pura” potrebbe fallire

Ape sociale avrebbe dovuto aiutare proprio coloro che non hanno una continuità contributiva per motivi sociali o economiche.

Quindi la domanda che il governo dovrebbe porsi è: arrivare a quota 41 in purezza è la soluzione per questo paese? E se sì, per quale categoria dei lavoratori? Domande a cui è necessario rispondere anche perché, altrimenti, si prenderebbero tutti i tavoli di lavoro fatti con i sindacati negli ultimi anni, coloro che hanno chiesto la exit lavorativa fissata a 64 anni di età oppure a 62 anni di età. Prenderne atto e lavorare di conseguenza. Ma vista la disparità previdenziale di molti soggetti in Italia, e altresì opportuno chiarire che probabilmente nessuno potrà lavorare realmente ad una riforma pensioni strutturale che però non contempli le diverse e molteplici situazioni previdenziali che si sono avvicendate in questi anni nelle storie, anche personali, dei lavoratori italiani.

Tags: Quota 41Riforma pensioniGiorgia MeloniGiancarlo GiorgettiOpzione DonnaApe SocialQuota 103

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