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Home » Politica » Riforme » RIFORME/ Draghi, 2 miracoli impossibili e le mine di Conte (539 decreti incompiuti)

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RIFORME/ Draghi, 2 miracoli impossibili e le mine di Conte (539 decreti incompiuti)

Sergio Luciano
Pubblicato 28 Febbraio 2021 - Aggiornato alle ore 06:57
Una seduta del Consiglio dei ministri del governo Draghi (LaPresse)

Una seduta del Consiglio dei ministri del governo Draghi (LaPresse)

Il Conte 2 ha lasciato 539 decreti attuativi da approvare. Anche riguardanti i ristori. Ma sono 2 le riforme quasi impossibili che sfidano Draghi

Cosa possiamo attenderci da Mario Draghi e dal suo governo, nel breve volgere degli undici mesi che lo dividono dalla scadenza delle elezioni presidenziali o, al più tardi, nei ventiquattro mesi che mancano al termine naturale della legislatura? Nessun miracolo: chi ai miracoli non crede del tutto, non deve aspettarsene proprio dal premier, solo perché ha studiato dai gesuiti e va a messa. Chi ci crede, sa bene che sono prerogativa di un solo Attore.


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E riformare la burocrazia e la giustizia civile sarebbero due miracoli. Non illudiamoci che Draghi li faccia. Qualche promessa farà e qualche premessa porrà, per riformarle: quel tanto che basterà a permettere al Consiglio d’Europa di far finta di crederci. E poi, più niente. Ci vorrebbero anni di lavoro davanti e muscoli politici nella braccia che Draghi non ha. E non è solito sparare colpi a salve: se agisce, lo fa sapendo di poter vincere.


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Dove invece dobbiamo sperare, e anche un po’ attenderci, che riesca a rasentare il potere taumaturgico manifestato una volta, dalla sua posizione di capo della Bce, con il celeberrimo “whatever it takes”, che salvò l’Italia con tutto l’euro, è invece sulla pratica bollente dei ristori inefficienti o peggio millantati lasciati dal governo Conte 2, come una bomba a orologeria nell’ufficio, giusto sotto la poltrona da premier.

Per la precisione: il decreto 176 del 18 dicembre 2020, il cosiddetto decreto ristori, che per funzionare prevedeva l’emanazione di 21 decreti attuativi. Quanti ne sono stati emanati? Sette! Quindi, ne mancano 14. Il che evidentemente rende quantomeno zoppo, se non vano, l’intero articolato.


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Ma questo è niente. Secondo un’opportuna riclassificazione dei dati ufficiali del governo fatta da La Stampa, la bomba a orologeria che il Conte 2 ha lasciato a Draghi sotto la scrivania è di ben 539 decreti attuativi, sui 792 previsti dall’intera batteria dei Dpcm con cui ha cercato di governare l’“Avvocato del popolo”. Chiaro? Significa che gli uffici sono stati in grado di emanare poco più di un quarto dei decreti attuativi che sarebbero stati necessari.

Ora: il semi-miracolo laico che gli italiani hanno ragione di attendersi da Draghi è questo. Prosciugare l’infame arretrato di questi decreti e attuativi. E comunque, con o senza decreti, far arrivare i soldi alle vittime economiche della pandemia. Non solo ai cassintegrati, che sia pure con ritardi notevoli, soprattutto iniziali, l’Inps è riuscito più o meno a pagare; ma anche e soprattutto agli autonomi, lavoratori singoli ed imprenditori, che hanno perso mesi e mesi (e ancora ne stanno perdendo) di fatturato ma non hanno per questo potuto estinguere tutti i costi e sono restati senza reddito.


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Non confondiamo i livelli: la riforma della burocrazia richiestaci dall’Europa e affidata da Draghi, quasi provocatoriamente, all’ottimo Brunetta, non si farà mai finché non interverrà qualche causa esterna dal potere devastante. Vedi alla voce “Grecia”.

Non dimentichiamoci che il nostro è un Paese che ha digerito senza scomporsi l’ignominia della non-licenziabilità individuale degli statali quando il Jobs Act di Renzi ha fatto saltare il tabù dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che dava la stessa garanzia ai dipendenti privati. È o  non è incostituzionale che siano state create due categorie di lavoratori così diverse rispetto a un diritto così sacro come quello del lavoro?


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Eppure lo abbiamo accettato senza batter ciglio.

Questo è un Paese dove per l’appunto il neoministro della Funzione pubblica, che aveva già ricoperto lo stesso incarico nell’ultimo governo Berlusconi, cioè Renato Brunetta, ha dovuto subire attacchi e offese di ogni tipo per aver in quelle vesti tentato di introdurre nella pubblica amministrazione prassi del tutto ordinarie nel mondo privato, come i famosi tornelli all’ingresso, o per aver osato stringere i bulloni sulle assenze per malattia scoprendo – guarda un po’! – quel che tutti sappiamo da sempre, e che cioè con il lassismo che impera quasi ovunque in Italia, due giorni di malattia molti medici di base non li negano a nessuno.


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Per una riforma della pubblica amministrazione efficace – che dovrebbe essere metaforicamente sanguinosa – si dovrebbero avere le spalle larghe abbastanza da sostenere le proteste lobbistiche e di piazza di tre milioni di ipergarantiti.

E non parliamo della riforma della giustizia civile, zavorrata da tre milioni e mezzo di cause arretrate e dall’indifferenza della casta che dovrebbe smaltirle, la magistratura, impunita e impunibile quando sbaglia per dolo, comunque intoccabile negli automatismi di carriera quando sbaglia per incompetenza o inadeguatezza professionale, intoccabile se decide di non far nulla, e comunque e sempre potentissima quando invece attacca con le misure cautelari a disposizione delle procure i bersagli che troppo spesso casualmente inquadra nel mirino.

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  • Tags: Mario DraghiMatteo RenziSilvio BerlusconiGiuseppe Conte

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