Il piano di rilancio dell’economia, dopo la crisi del Covid-19, proposto dalla Commissione europea s’appella “Next Generation EU” e sosterrà con 750 miliardi di euro gli Stati membri. All’Italia possono andare fino a 81,807 miliardi di euro in sovvenzioni (“grants”) e circa 90,938 miliardi in prestiti, per un totale di finanziamenti pari a 172,745 miliardi di euro.
Con calma però, molta calma; se troverà applicazione, si pensa di renderlo attivo nel gennaio 2021. Il premier Conte ci pensa su, prende la palla al balzo, scuote l’albero della cuccagna e programma investimenti e misure per il rilancio del Paese.
Rilancia, dunque, sei punti:
1) Siamo al lavoro per la modernizzazione del Paese. Introdurremo incentivi alla digitalizzazione, ai pagamenti elettronici e all’innovazione.
2) Dobbiamo moltiplicare gli strumenti utili a rafforzare la capitalizzazione e il consolidamento delle imprese.
3) Occorrono una decisa azione di rilancio degli investimenti pubblici e privati e una drastica riduzione della burocrazia.
4) Occorre una graduale ma decisa transizione verso un’economia sostenibile, legata al green deal europeo
5) Dobbiamo puntare su un grande investimento per il diritto allo studio e per l’innovazione dell’offerta formativa
6) È necessario abbreviare i tempi della giustizia penale e della giustizia civile.
Dunque, non tutto, ma di tutto pur di rilanciare.
In quel “non tutto” il Premier par dimentico di come alla crescita, dovendosi fare con la spesa non con la produzione, occorrano i denari per poterla fare. Bene, al dimentico toccherà rammentare come, già prima della pandemia, gli italiani avessero in tasca pressappoco gli stessi denari tenuti nell’85, come ebbe a dire Confcommercio, condannando il Paese alla stagnazione.
P.S.: Premier, oggi nella pandemia di quei denari ce ne sono ancora meno; per il domani che spera, e io con lei, occorrerà rilanciare se la vogliamo fare ‘sta spesa!