RECENSIONE/ “Il primo lunedì del mondo” dei Virginiana Miller

- Simone Nicastro

Archi, trombe doloranti, suond british anni Ottanta e “lucide confessioni”. Sono gli ingredienti dell’ultimo album dei Virginiana Miller,"Il primo lunedì del mondo". La recensione di SIMONE NICASTRO

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Ci sono album che sono più importanti di altri. E fare una affermazione del genere scrivendo del nuovo lavoro dei Virginiana Miller non è irrilevante. Se esiste un fenomeno di culto nella musica italiana questo è senza dubbio il gruppo livornese.

In molti, da anni, si chiedono il motivo per cui i lavori di Simone Lenzi e compagni non abbiano avuto un riscontro maggiore di tanti altri meno meritevoli. E l’ascolto del nuovo disco “Il primo lunedì del mondo” non fa che acuire questa domanda in maniera esponenziale.

Ogni album dei Virginiana ha lasciato segni in chi avuto il piacere di ascoltarli, ma quest’ultimo, fin dal primo ascolto, rischia di essere qualcosa di più profondo. Se in apertura si trova a sorpresa un brano in lingua anglosassone Frequent Flyer, dominato da archi e una tromba dolorante, Lunedì ci trascina in quel posto dove resteremo fino alla fine in apnea: “le nostre parole non saranno nuove mai più” per un brano che nonostante il dolore auspica la possibilità di andare oltre e lasciarsi alle spalle quella porta ormai chiusa.

Acque sicure, il cui video presenta scene del film di Virzì, La prima cosa bella, non lascia superstiti con il suo andamento rock acustico/elettrico: tra amari lecca lecca e l’essere sempre giovani troveremo anche noi il modo di prendere aria per restare a galla e tenere gli occhi aperti.

Mi è stato chiesto varie volte quali sono le canzoni d’amore che ritengo più belle; d’ora in poi un posto di assoluto rilievo l’avrà La risposta di cui solo provare a spiegare qualcosa rende poco merito alla sua meraviglia: e le parole sono mani e le mie mani sono stanche, se anche uscissero dall’acqua credo non le aiuteresti, voglio te perché la consapevolezza di ciò che si desidera è l’unico metro con cui affrontare la realtà, oltre i suoi perché nell’unica risposta possibile e immaginabile che resta lì dove il cuore sente di dover stare.

Sono un icona la più bizantina, sono le tue aspirazioni, la tua aspirina per il tuo mal di testa di questa mattina, sono quel che resta (ah beh): così L’angelo necessario prepara gli ascoltatori al ritornello più solare di tutto il lavoro, dove il sarcasmo e la consapevolezza aiuta a dimenticare ciò che è giusto dimenticare. I social network possono sostituire il tempo e gli spazi ma difficilmente possono fare compagnia reale e concreta: L’inferno sono gli altri tra citazioni e analisi del quotidiano fa cantare come solo le migliore canzoni pop sanno far fare.

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Le ossessioni rendono sterili e ripetitivi i gesti, uguali nel caso della ragazza anoressica e del giocatore di slot machine: i piccoli oggetti ci riflettono e ci cambiano, a volte per sempre. Il crescendo di questo brano si candida a uno dei momenti più intensi nei live della band.

Simone Lenzi è uno di quei parolieri che ha la dote incredibile di nascondere in poche frasi sensi e logiche di tutti, raccontare storie normali che hanno sempre una dimensione universale. Cruciverba lo dimostra così ampiamente che anche dopo ripetuti ascolti si trova sempre qualcosa di diverso su cui ragionare (nel mio caso anche ricordare).

I Virginiana hanno sempre dimostrato una certa affezione verso un sound british anni 80: Il presidente freme di chitarre elettriche e di un ritornello “killer” su cui non lasciarsi andare sarebbe un delitto. Quasi in chiusura troviamo un altro apice dell’album: La carezza del Papa rappresenta una delle più lampanti e lucide confessioni che un artista (un uomo) giunto a un certo punto della propria storia personale ha il dovere (la sincerità) di esporre: ora cerco una scusa, non ho avuto i coglioni non ho avuto né figli né gloria o potere, soltanto canzoni che non canta nessuno, che non cambiano niente, che non legano il sangue, spero tu mi perdoni. Non so se autobiografico ma non posso che applaudire a scena aperta questa canzone incredibile.

L’album si conclude con una cover dei Rokes: E la pioggia che va è il finale positivo, la speranza che comunque persiste, è lo sguardo verso un orizzonte che, per quanto nero sia rimane un richiamo a vivere con le proprie certezze e aspettative di ogni giorno.

Da un punto di vista squisitamente musicale non c’è brano nel “Il primo lunedì del mondo” che non tenga di vista, da un lato, l’impatto essenzialmente pop e, dall’altro, strutture più complesse nell’intreccio dei vari strumenti, mantenendo un’atmosfera ricercata ma non oscura, “pensante” ma non per questo intellettuale. Troppe volte si abusa del termine capolavoro: beh… qui siamo decisamente in prossimità. Il tempo dirà il resto.

(Simone Nicastro)





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