Il professor Roberto Brambilla, chirurgo specialista di medicina rigenerativa, grandissimo esperto nella cura delle lesioni da ferite di guerra, per anni all’istituto Zucchi di Monza e oggi consigliere comunale a Vimercate (provincia di Monza e Brianza), ha raccontato la sua storia a Uno Mattina Estate: è partito per Leopoli, alla volta dell’Ucraina, per dare il proprio contributo nella cura di pazienti grandi e piccoli. “Io collaboro con un’organizzazione che si chiama Soleterre, presente in Ucraina da 20 anni e che si occupa di seguire i malati oncologici e le loro famiglie, quando è scoppiata la guerra è stato naturale essere coinvolti in tutti i problemi, a cominciare dalla necessità di materiale visto che Leopoli era stata tagliata fuori dalla guerra, e poi bisognava portar fuori tutti i bimbi che dovevano continuare le cure oncologiche che non potevano essere interrotte. Quando abbiamo cominciato questo lavoro – ha proseguito il dottor Roberto Brambilla – ci hanno fatto presente il problema dei bimbi feriti e io mi sono sempre occupato di ferite quindi mi sembrava ovvio mettermi a disposizione”.
Ha ricordato il caso di un paziente che ha sofferto per ben 69 anni di problemi legati a delle ferite da guerra mai guarite: “Nel 2014 è arrivato nel centro che avevo fondato questo signore, Giulio, per delle richieste di ferite di guerra, ci aveva raccontato che nel ’45 era finito sotto a dei bombardamenti a Milano riportando ferite alle gambe che non erano mai guarite. Per tanti anni la medicina è stata impotente verso queste lesioni ma negli ultimi 20 e 30 anni le cose sono cambiate profondamente grazie alle medicine rigenerativa e Giulio è guarito in due mesi dopo 69 anni di lesione”.
ROBERTO BRAMBILLA: “HO MESSO A DISPOSIZIONE LE MIE TECNICHE”
Di nuovo sull’esperienza in Ucraina: “La guerra ha sorpreso tutti – ha continuato Roberto Brambilla – in condizioni di questo genere aguzza l’ingegno, e i medici ucraini sono competenti, professionali e preparati, non avevano queste nozioni, la mia fortuna è stata di conoscere queste tecniche e di portarle a loro. In poco tempo hanno imparato e sono diventati competenti”.
“Non ci si abitua mai ad un bimbo ferito – ha spiegato – è drammatico, si vedono sofferenze fisiche ma anche mentali, ricordo una bimba che aveva visto morire mamma, papà, fratello e nonno, queste ferite difficilmente guariscono. Una sofferenza incredibile – ha chiosato – ma mi ha colpito la resilienza di questi bimbi, sorridono: io mi sono portato a casa da questa esperienza il loro sorriso”.