Avevo 10 anni quando tutta la città e tutto il mondo si fermarono a guardare quel grande avvenimento sportivo e di costume che furono le Olimpiadi di Roma. Ma nonostante avessimo le Olimpiadi a casa nostra, mio padre mi portò a vedere solo una manifestazione, quella del torneo di scherma. Le altre gare le vidi da un vicino di casa, perché ci si riuniva in quelle poche famiglia fortunate che possedevano la tv, a vedere gli avvenimenti sportivi, proprio come avviene oggi per le partite dei Mondiali di Calcio.
Mio padre aveva praticato la scherma da giovane ed era rimasto negli anni sempre appassionato; così quel giorno, tra un mare di folla al Palazzo dei Congressi, vidi la vittoria di un italiano, Giuseppe Delfino nella spada. Era il settembre del 1960.
Solo dopo tanti anni ho capito che la scherma – ma anche quel palazzo – avevano per mio padre un significato, perché mentre studiava ingegneria iniziava a lavorare con una grande impresa di appalti che stava realizzando l’Eur, ed in particolare il Palazzo dei Congressi, del famoso architetto Adalberto Libera: era il 1942, ma poco tempo dopo era scoppiata la guerra e quel sogno di realizzare l’Esposizione Universale era stato interrotto, per poi riprendere tra gli anni 50 e 60 sotto forma delle costruzioni olimpiche romane.
Lo sport e l’architettura delle costruzioni – forse per tradizione familiare, forse per vocazione – mi hanno sempre appassionato, tanto che ho approfondito nel tempo la storia delle Olimpiadi, non solo quelle di Roma, assieme al mondo dell’edilizia. La prima per passione, l’altra per professione: mi affascinavano le due cose, i cantieri che davano forma a nuovi edifici nella città e la lealtà dello sport, perché entrambe racchiudevano dei valori come la sana competizione tra le persone – nello sport e tra le imprese – e il lavoro creativo, nella rinascita edilizia delle infrastrutture della città eterna.
Proprio al Palazzo dei Congressi in questi giorni ho rivissuto le emozioni di allora, partecipando alla presentazione della candidatura delle Olimpiadi di Roma 2020 nell’ambito degli Stati Generali della città.
Eppure questi ricordi giovanili, rimasti indelebili, sembrano diventare puro romanticismo e troppo lontani se messi a confronto con la realtà attuale: i tempi non sono più quelli, per le guerre nel mondo, perché la competizione a tutti i livelli non sempre è sana, perché ci si pone la domanda “come si possano realizzare i progetti per il 2020, con questa crisi economica?”.
Grande occasione di pace le Olimpiadi del ’60, perché la seconda guerra mondiale era da poco terminata, ma già qualche anno dopo, con gli atti di terrorismo delle Olimpiadi di Monaco del 1972, la tregua olimpica venne drammaticamente interrotta. Le Olimpiadi allora rappresentavano la rinascita dell’Italia del dopoguerra, la rivitalizzazione della capitale, del Foro Italico e dell’Eur, con il Palazzo dello Sport di Nervi oltre a quello dei Congressi, con il Palazzo delle Esposizioni, il cosiddetto Colosseo Quadrato.
Io sono vissuto da quegli anni in poi, lungo tutta l’adolescenza, con una tensione positiva della vita che si coglieva nella società che ti circondava, attraverso la laboriosità della gente, la speranza di uscire dalla povertà del dopoguerra ed il desiderio di un boom economico che comunque prima o poi arrivò veramente.
Oggi la sfiducia nelle istituzioni, il cinismo imperante, l’individualismo esasperato, la crisi economica non solo italiana, già rendono l’uomo scettico, figurarsi quando poi ci addentriamo nello sport dove le multinazionali degli sponsor controllano il mercato degli “atleti immagine”.
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Figurarsi ancora quando si parla di investire per nuove realizzazioni edilizie, tese a rendere più accogliente e moderna una Olimpiade, dove non ci si mette mai d’accordo con quali procedure straordinarie si devono realizzare le nuove strutture, con quali soldi e da ultimo con quali costi di gestione nel riuso, dopo solo un mese di utilizzo straordinario.
Le Olimpiadi possono tornare ad essere una grande occasione di fratellanza tra i popoli, proprio a ripartire da Roma, se ci si lascia educare nel segno di quanto disse Giovanni Paolo II al Giubileo degli sportivi (Stadio Olimpico di Roma, 29 ottobre 2000) citando San Paolo: «Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Grande importanza assume oggi la pratica sportiva, perché può favorire l’affermarsi nei giovani di valori importanti quali la lealtà, la perseveranza, l’amicizia, la condivisione, la solidarietà».
Le Olimpiadi possono essere anche la grande occasione di mettere in gioco la rete delle imprese, piccole e medie, che non sono purtroppo quelle che possono sostenere i grandi investimenti. Sono piuttosto quelle che sostengono il tessuto sociale ed economico di tante famiglie, con il rischio d’impresa di datori di lavoro, di collaboratori, dei cittadini di Roma, nella quotidianità e non nella eccezionalità di un evento.
Così dobbiamo guardare alle Olimpiadi come occasione di mettere in gioco non le grandi forze economiche, in vista di un evento straordinario, che per quanto costa ha necessità di sponsor internazionali. Piuttosto la forza di una solidarietà e di una rete di imprese che è già straordinaria tutti i giorni: dai servizi di progettazione e costruzione, al mettere assieme imprese profit e non profit, ai servizi di ristorazione, pulizie, manutenzione, del verde, dell’accoglienza e così via.
Un libretto uscito alcuni mesi fa a cura dalla Compagnia delle Opere, dal titolo “Fare impresa”, viene in aiuto alla nostra riflessione, laddove si legge che «l’impresa è un luogo sociale in cui si svolge una parte importante della nostra stessa vita, in cui si esprimono e crescono i talenti e l’umanità di ciascuno».
Ci auguriamo che Roma, proprio con lo spunto delle Olimpiadi, diventi sempre più un laboratorio innovativo, in grado di attirare investimenti che sostengano non solo i monumenti e gli eventi, ma anche quel volano della sussidiarietà del tessuto sociale e imprenditoriale più capillare, che può educare alla lealtà e al bene comune.