Quello scritto oggi su “La Stampa” da Lucetta Scaraffia è una dei rarissimi editoriali letti in questi mesi sul “caso” Samantha D’Incà che non parte da un punto di vista “ideologico”: o “pro vita” a prescindere, o “pro morte” mascherata da “libertà di coscienza”. No, se si è sinceri anche solo per un attimo, la situazione che stanno passando i genitori della ragazza veneta in stato vegetativo da oltre un anno è ai limiti dell’umana sopportazione. Come loro, tante altre famiglie ogni giorno vivono lo stesso dramma: anche solo per questo, meritano l’esatto opposto dell’ideologico approccio o “tutto nero” o “tutto bianco”.
È infatti nelle “tonalità di grigio” in cui si muove Scaraffia ammettendo con franchezza: «chi avrebbe il coraggio di mettersi al posto dei genitori e del fratello gemello di Samantha D’Incà per suggerire loro cosa devono fare nel decidere il destino della loro congiunta in stato vegetativo?». Ecco, il punto è proprio quello: nessuno potrebbe, nessuno vorrebbe. Ma proprio per questo motivo fare come hanno fatto il 90% dei media in questi mesi, parlando di “ridare a Samantha la libertà” è un esercizio tutt’altro che positivo: «con questo si intende dire lasciarla morire, trovo la formulazione molto ideologicamente orientata, in un modo che rischia di nascondere i veri termini del problema», spiega l’editorialista su “La Stampa”. Serve un approccio non ideologico anche solo per avere a che fare con tematiche del genere: non per forza infatti la libertà di Samantha significhi “lasciarla morire”, ma potrebbe anche voler dire proseguire a curarla con il semplice nutrimento.
SAMANTHA E L’UNICO APPROCCIO NON IDEOLOGICO
Ma il percorso de-ideologizzante posto da Lucetta Scaraffia va ben oltre la problematica “dei media”: anche sul fronte scientifico, il caso di Samantha è tutt’altro che “definito” e ci si muove anche qui in una zona grigia che andrebbe resa ed espressa in maniera molto meno “banale” di quanto non sia stato fatto finora. «La vita è un mistero di cui non comprendiamo che una parte, e sulla condizione di stato vegetativo in realtà sappiamo ancora poco», prosegue l’editoriale sul caso D’Incà, «ognuno di noi in una situazione di normalità dice che preferirebbe morire piuttosto che vivere così, ma in realtà non possiamo avere che cosa veramente desidereremmo se ci trovassimo in quella situazione». Qui Scaraffia si rivolge direttamente a medici, scienza e pure allo Stato che hanno lasciato alla fine la decisione in mano alla famiglia di Samantha (e che hanno già fatto sapere di voler staccare ogni spina, non appena arriverà il via libera dell’equipe medica della Rsa dove è ricoverata la ragazza): «chiediamo agli scienziati e ai medici più umiltà nel prospettare l’imponderabile sia quando si impegnano nelle terapie per garantire a tutti i costi la sopravvivenza, sia quando diagnosticano gli effetti e gli esiti di uno stato vegetativo». Infine, un ennesimo grave problema pone all’attenzione il “caso” D’Incà: conclude Scaraffia, «se si dà alla famiglia la possibilità di scegliere di staccare la spina, bisogna darle anche la possibilità di non staccarla pure per periodi molto lunghi», Insomma, davanti a situazioni disperate occorre prendere decisioni il più possibili non ideologiche e non fondate su “sicurezze scientifiche tutt’altro che certe»; ecco, ci sembra magistralmente suggerisca l’editorialista, «solo una decisione che unisca medici e famiglia può portare a giudizi prudenti ed equilibrati indispensabili su un argomento come la vita umana decisivo per tutti noi».