SANDRA AMURRI E IL “VETO” DI TRAVAGLIO/ Su Bonafede-Di Matteo “Una storia torbida…”
Sandra Amurri a Non è l’Arena nonostante il “veto” di Marco Travaglio: “Non mi ha autorizzata”. Su Bonafede-Di Matteo: “Una storia molto torbida che…”

Sandra Amurri non ha fatto esplicito riferimento a Marco Travaglio, ma non ce n’era bisogno visto quanto ha dichiarato a Non è l’Arena. «Io sono qui a titolo personale. Ho sempre espresso le mie opinioni personali per tutta la vita e me ne vanto», ha dichiarato dopo la presentazione di Massimo Giletti. Il conduttore l’aveva presentata come ex giornalista del Corriere della Sera ora al Fatto Quotidiano, quindi – visto che il direttore Marco Travaglio non ha autorizzato la sua partecipazione in qualità di giornalista del suo quotidiano, ha voluto fare quella precisazione. Poi parlando della testimonianza di Piero Aiello, la prima donna testimone di giustizia e ora deputata del Movimento 5 Stelle. «Al termine dell’intervista alla figlia di Totò Riina, tempo dopo il rientro a Corleone a bordo di un taxi, mi disse questa frase che aveva un senso provocatorio. Ma voleva lanciarmi un messaggio, visto che la stimolavo. Lei in risposta mi disse: “Col tempo capirà che non siamo i peggiori”. E col tempo ho capito tante cose e che quelle stragi da sole non le avrebbero potute fare». E quindi sulla storia di Piera Aiello: «Le donne si liberano con gli esempi, essendo donne diverse, non con le quote rosa». Poi sul caso Bonafede-Di Matteo: «Perché ha cambiato idea? Ma ha cambiato idea lui? E chi li ha fatto cambiare idea? Questa è una storia molto torbida che l’Italia deve sapere». (agg. di Silvana Palazzo)
SANDRA AMURRI A NON È L’ARENA, IL “VETO” DI TRAVAGLIO
Sandra Amurri sarà ospite stasera di “Non è l’Arena” di Massimo Giletti per parlare del caso Bonafede-Di Matteo. Ad annunciare la partecipazione al programma di La7 è stata la stessa giornalista, che da sempre si occupa dell’antimafia siciliana. Con il suo post su Facebook però ha però creato un piccolo caso, perché ha chiarito che Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, per il quale lavora, non l’ha autorizzata a partecipare. «Preciso che parteciperò a titolo personale in quanto non sono stata autorizzata dal direttore a partecipare in qualità di caposervizio-inviato del Fatto», ha scritto Sandra Amurri sui social. Il contributo però che la giornalista può offrire al dibattito è molto interessante, motivo per il quale in Rete tiene banco la vicenda relativa al “veto” posto da Travaglio. In un post su Facebook ha, infatti, spiegato perché la questione Bonafede-Di Matteo non è frutto di una incomprensione, ma è una questione politica. «Un Ministro della Giustizia, soprattutto se del M5S che ha fatto della trasparenza, del no agli inciuci, delle dirette streaming il suo slogan, ha il dovere politico di dire ai cittadini la verità. E la verità equivale a rivelare chi ha fatto pressioni su di lui affinché retrocedesse dall’affidare l’incarico a Di Matteo. Di rivelare chi ha posto il veto sul suo nome».
SANDRA AMURRI A NON È L’ARENA PER IL CASO BONAFEDE-DI MATTEO
Sandra Amurri ha a più riprese affrontato sui social la vicenda Bonafede-Di Matteo, non risparmiando critiche al ministro della Giustizia. Rivolgendosi al Movimento 5 Stelle in un altro post su Facebook, ha scritto: «Vedete, cari grillini, moralizzatori della politica, ad eccezione della vostra, castigatori di costumi, altrui, (..), in Europa e anche in Italia, si sono dimessi, per molto meno, ministri di quella casta a voi, giustamente, invisa, senza che, per questo cadesse il Governo di cui facevano parte». E poi rivolgeva delle domande provocatorie al Guardasigilli Bonafede: «Non può parlare perché la scelta Basentini cela una commistione di complicità che se venisse raccontata per come è andata davvero, morirebbe Sansone, lei, e tutti i filistei?». E non è mancato una sorta di appello-esortazione: «Abbia il coraggio di raccontare al Paese chi le ha imposto Basentini. Perché si è dimesso, o perché è stato fatto dimettere, se, come lei sostiene la responsabilità delle scarcerazione dei boss è stata dei magistrati di sorveglianza e non del capo del Dap».
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