Gli Usa di Trump pensano di poter far tutto da soli, anche contro una Cina che può aver gioco facile nel mettere in crisi l'avversario
Quando sir John Robert Seeley comprese che, alla metà del XIX secolo, le forze del Regno Unito non avrebbe potuto mai contrastare tanto il gigante di mare nordamericano, quanto quello di terra teutonico che aspirava anch’esso a un certo qual potere marittimo, decise di dedicare tutte le sue forze alla trasformazione dell’Impero in un Commonwealth, ossia in un legame organico di potenza con cui allearsi con il gigante nascente e così muovere alla creazione di un apparato di potenza in grado di fronteggiare tanto la Prussia quanto il Giappone.
La potenza del mondo si stava liberando del velo dinastico che l’avvolgeva e delle fragili alleanze che ne derivavano per i trascorsi in rapporti di potenza e di deterrenza in primis, fondati com’erano sulla potenza bellica navale da porre in campo. Per raggiungere una potenza all’altezza dei nuovi rischi mondiali occorreva unire e non dividere le nazioni.
Gli Usa di Trump sono protagonisti di una rappresentazione satirica al contrario di questa storica vicenda passata. Son convinti di far tutto da soli e se non hanno più nessun legame dinastico non vogliono averne neppure di diplomatici, attaccando ogni nazione che possa costituire per loro una preda con qualche risorsa che possa aggiungersi al loro potenziale di potenza, che va diretto prioritariamente contro la Cina.
Il gioco di specchi costituito dai dazi si rileva un gioco alla morra, ossia un vecchio arnese del gioco di potenza piuttosto che di un confronto economico dotato di un qualche senso. Le filiere delle imprese sempre più disintermediate – delle imprese tanto piccole e medie quanto grandi e sovranazionali – non sono minacciate da questo muro di silos con cui si vuole incatenare il commercio mondiale, perché quei silos sanno come aggirare o distruggere.
È la politica di potenza nazionale che è in gioco e non a caso è questo gioco che le borse mondiali riflettono in una serie di giochi a somma zero, accompagnati dalla minaccia, da parte cinese, sempre meno velata di attaccare il potere fondante il dominio degli Usa: ossia il dominare con il dollaro gli scambi e con i titoli del Tesoro i flussi finanziari globali. È verso questi ultimi che le formiche cinesi muovono all’assalto sui loro enormi carri e sulle loro fantasiose giostre tecnologiche.
Trump gira annebbiato tra giostre e carri e ricorda sempre più il Mao Tse-tung della rivoluzione culturale cinese. E sappiamo tutti come è finita: Mao è morto da solo e i suoi seguaci sono stati sterminati.
Forse la lettura – ammesso che leggere sappia ancora – del vecchio e saggio sir Seesley a Trump sarebbe di grande aiuto: senza un Commonwealth gli Usa rovinano in terra e con loro saranno in molti a farsi un gran male. Occorre procedere in gran fretta…
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