Bosch, Volkswagen, Ford, Stellantis risentono della crisi, ma l’Europa tace. Mentre i cinesi conquistano il mercato e non condividono il loro know how
Il messaggio viene dal Salone dell’auto di Torino, che si è appena concluso. Da lì la filiera dell’automotive italiano, tra cui ANFIA (imprese della componentistica e costruttori) e Federauto (venditori) ha fatto partire un appello alla Presidenza del Consiglio con una lettera che chiede di affrontare la crisi del settore. Il problema principale, spiega Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale ed esperto del settore automobilistico, è l’incertezza creata dalla UE, che continua a rimandare le decisioni sulla revisione della direttiva che stabilisce dal 2035 la produzione solo di auto elettriche. Si perde tempo mentre in tutta Europa la crisi coinvolge grossi brand come Bosch, Volkswagen, Stellantis, Ford. Proprio quando i cinesi prendono sempre più piede, creano siti industriali nel vecchio continente e si rifiutano di condividere la loro tecnologie con gli europei.
La filiera dell’automotive italiano, chiede chiarezza sugli incentivi, un piano per le infrastrutture di ricarica, una riforma fiscale per le auto aziendali. È sufficiente per rilanciare il settore?
La situazione è segnata da una grande incertezza a livello di Unione Europea, di Commissione UE. Dalle singole filiere, italiane ed estere, mi aspetterei un atteggiamento molto deciso e determinato: Bruxelles deve cambiare in modo drastico le sue politiche e andare verso la neutralità tecnologica, senza escludere dal mercato tutto ciò che non è auto elettrica.
La situazione del comparto auto sembra sempre più grave e ci sarebbe bisogno di interventi immediati: è almeno un tema per l’Unione? Se ne sta parlando?
A Bruxelles si è tenuto un dibattito sulla competitività tra i ministri dell’industria dei 27 paesi europei, al quale partecipa anche il ministro dell’impresa e del Made in Italy Adolfo Urso. In questo ambito l’Austria ha presentato un documento che sposa alla perfezione le istanze dell’ARA, l’Alleanza tra 40 regioni europee dell’automotive, presieduta dall’assessore lombardo allo Sviluppo Guido Guidesi. Nelle scorse settimane, prima del deludente dialogo strategico del 12 settembre voluto dalla Commissione UE per parlare del futuro del settore, tre lander tedeschi (Bassa Sassonia, azionista principale di Volkswagen, Baden-Württemberg, e Baviera) hanno sollecitato la Von der Leyen a cambiare strada.
Intanto però dal settore arrivano notizie sempre più preoccupanti. Cosa sta succedendo?
La Bosch manda a casa 13 mila persone. Volkswagen ha rallentato, se non interrotto, la produzione di auto elettriche perché il mercato non risponde. Porsche, che aveva sviluppato un modello elettrico, sta cambiando programmi, la Ford Europa taglia mille posti nel suo stabilimento polacco. Stellantis è in difficoltà e in Francia, come in altri Paesi europei, interrompe la produzione. Si stanno pagando le scelte sbagliate, ideologiche, della Commissione UE, sposate in passato anche dai costruttori europei in maniera piuttosto irresponsabile. Di fronte a questo Ursula Von der Leyen continua a prendere tempo.
Intanto anche al Salone dell’auto di Torino un terzo degli espositori erano cinesi. Ormai anche in Europa sono inarrestabili?
Su 50 case presenti 17 erano cinesi, in proporzione erano di più che al Salone di Monaco di Baviera. I cinesi, comunque, per la maggior parte fanno delle belle macchine: hanno motori incredibili, puntano sui modelli super-hybrid, e sono concorrenziali anche a livello di design.
Gli ultimi dati dicono che le vendite delle auto elettriche sono cresciute del 24% in Europa. Qualcosa sta cambiando nell’orientamento degli acquirenti?
Le vendite delle auto elettriche sono cresciute, ma siamo sempre lontani da certi obiettivi. Inoltre bisogna anche guardare come viene venduto l’elettrico: se escludiamo i Paesi scandinavi, anche in Italia ci sono i piazzali dei concessionari strapieni di auto elettriche invendute: le fanno figurare come comprate con il sistema delle autoimmatricolazioni. Poi rimangono lì. Le case automobilistiche, d’altra parte, devono produrre questi modelli in una certa quantità per non pagare le multe previste dalla UE. Ora le hanno rinviate di tre anni, ma un’azienda come Stellantis potrebbe dover pagare 2 miliardi e mezzo, una cifra fuori dal normale, che può causare anche la chiusura di qualche stabilimento.
Intanto le auto più apprezzate dal mercato sono quelle ibride, la UE dovrebbe tenerne conto?
Il plug-in sta riprendendosi bene grazie anche alle tecnologie super-hybrid cinesi che dispongono di motori molto interessanti, potenti, con una lunga autonomia. L’elettrico potrebbe essere la tecnologia del futuro, ma in questo momento, e per tanti anni, saranno le ibride ad andare per la maggiore. I problemi da affrontare, comunque, sono tanti.
Quali?
Quello delle batterie, ad esempio. Stellantis sta costruendo in Spagna una gigafactory con CATL, colosso delle batterie cinesi. Doveva realizzarla in Italia e anche in Germania, guarda caso ne ha fatta una in Francia. Ma c’è un problema: i cinesi non vogliono condividere le loro tecnologie e per questo starebbero inviando molti loro addetti a lavorare nella penisola iberica. Insomma, sono molto gelosi del loro know how, tenendo conto del fatto che anche le materie prime sono loro.
L’automotive europeo ha bisogno di una politica industriale che immagini lo sviluppo del settore?
Sì, ma ormai dobbiamo accordarci con i cinesi. Non si possono isolare, bisogna cooperare, condividere stabilimenti e produzioni: sono loro i più forti.
(Paolo Rossetti)
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