Profitti e utili giù: la Cina sente la crisi e prepara un piano per sostenere la domanda interna. Oggi comincia il summit dei Paesi SCO
Nei primi sette mesi del 2025 i profitti industriali sono diminuiti dell’1,7% e luglio è stato il terzo mese di fila al ribasso. Anche gli utili delle aziende statali sono diminuiti del 7,5%. I dati non sono di una qualche economia occidentale, ma della Cina, abituata a diffondere percentuali trionfanti sui risultati della sua economia.
Pechino, osserva Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, sconta l’incertezza creata dai dazi di Trump, ma anche le difficoltà del mercato interno, e si appresta ad affrontare un momento cruciale: tra poco il Partito Comunista dovrà varare il prossimo piano quinquennale per l’economia del Paese ed è probabile che cercherà di imprimere una svolta proprio al mercato interno.
Nonostante le difficoltà, comunque, Xi Jinping sta allargando la cerchia dei suoi contatti, sfruttando a suo favore la politica dei dazi americana, che allontana di fatto diversi Paesi da Washington: il primo di questi è l’India, che sta riallacciando i rapporti proprio con i cinesi.
L’unica a non beneficiarne è la UE. Intanto oggi si riunisce la Shanghai Cooperation Organization (SCO) che riunisce Paesi che rappresentano la popolazione di mezzo mondo.
Dalla Cina arrivano dati negativi sull’economia: diminuiscono i profitti industriali e gli utili delle aziende statali. Le difficoltà del Dragone diventano più evidenti?
Non è una sorpresa. I grandi player sono tutti in una condizione di debolezza. Lo sono gli USA e anche la Cina. Dell’Unione Europea meglio non parlare. Da un punto di vista geopolitico siamo in una situazione molto particolare, non fortunata, e quando si è deboli, purtroppo, il rischio di iniziative pericolose è molto elevato: la storia ce lo insegna.
Da cosa dipende la debolezza della Cina?
È il frutto di due principali determinanti. Una è di matrice trumpiana: la politica assertiva di crescita dei dazi crea un contesto complessivo di incertezza, per cui Pechino si trova in difficoltà in parte negli Stati Uniti e in parte in Europa, i suoi due principali mercati. I cinesi stanno aumentando in misura significativa le interazioni col Sudest asiatico, ma è altrettanto chiaro che l’eccesso di capacità produttiva di cui sono portatori fa più fatica a collocarsi: occorre abbassare i prezzi, abbattendo la profittabilità delle aziende di Stato e non solo.
Cos’altro concorre a determinare la situazione dell’economia cinese?
La Cina è in una fase di transizione interna legata all’indispensabile virata da un’economia significativamente manifatturiera a un’economia manifatturiera, di servizi e trainata da una domanda interna più significativa. Quello che si registra in questo mese di agosto, e che non vediamo nei dati a disposizione, è che comincia a emergere nel Partito Comunista una consapevolezza: l’importanza di stimolare i servizi. Inoltre, si sta sviluppando un dibattito, anche tra gli intellettuali, sulla necessità di stimolare la domanda e l’offerta e sul peso della domanda interna. I dati attuali sono il frutto di una decisione non ancora maturata di sostenere la domanda interna e il mondo dei servizi.
Per Xi Jinping è un momento di grandi decisioni?
Ci stiamo avvicinando al momento chiave, alla quarta sessione del comitato centrale del Partito, che darà luogo al prossimo piano quinquennale. I dati potranno mutare l’anno prossimo solo se il quindicesimo piano quinquennale esprimerà politiche orientate a sostenere la domanda interna, altrimenti sarà difficile per la Cina mantenere ritmi di crescita e profittabilità a cui era abituata qualche anno fa.
Questa scelta che conseguenze avrà sul resto dell’economia?
Mercato interno vuol dire anche la possibilità di avere extra capacità che non vengono destinate solo all’esportazione. Vuol dire aumentare le retribuzioni dei dipendenti, migliorare il welfare, aumentare la domanda e ridurre l’incertezza degli investitori privati: il grande tema non sono solamente le aziende di Stato, il 70% del PIL è fatto da aziende private, che ora non stanno investendo. Il mercato interno è un acceleratore, innesca un circolo virtuoso molto importante, che crea un volano per aumentare produttività e innovazione.
Altrimenti il Dragone potrebbe perdere i colpi anche in termini di innovazione?
Il tema è ridare fiducia al motore cinese, che complessivamente l’ha persa perché l’export non è come prima e le province sono fortemente indebitate: sostanzialmente non si vede più un futuro positivo come lo si vedeva prima. In Cina ho sempre respirato grande ottimismo per il futuro, che in questo momento è venuto meno. E l’energia emotiva positiva è una componente fondamentale.
I cinesi, in termini di politica economica, stanno cambiando qualcosa anche sul mercato estero?
Oggi e domani si tiene un vertice importantissimo, la Shanghai Cooperation Organization (SCO), che tra membri ufficiali e uditori riunisce più del 50% della popolazione mondiale. La Cina, da questo punto di vista, sta abilmente tessendo una rete di alleanze alternativa agli USA, avvicinandosi persino all’India. Bisogna vedere cosa riuscirà a costruire.
Per noi europei tutto questo cosa vuol dire?
L’Europa non esiste più, è un attore che ha perso completamente di significato. Von der Leyen ha ondeggiato fra diverse posizioni: prima considerava la Cina un rivale sistemico, poi un amico e quindi ancora un rivale. I cinesi ora si rapporteranno con i singoli Stati membri dell’Unione.
Trump ha usato l’arma dei dazi e ora torna a prospettare tariffe aumentate del 200% se la Cina non darà i magneti. Washington è ancora in posizione di forza rispetto a Pechino?
Rispetto alla Cina è sotto scacco, subalterno, perché Xi Jinping ha un’arma di distruzione di massa che sono le terre rare. Il presidente USA ora vuole i magneti, ma anche se mette i dazi al 200%, se i cinesi non glieli danno bloccano l’economia americana.
Nonostante le difficoltà la Cina sta spodestando gli USA come prima economia mondiale?
Per adesso non è così. La Cina ha difficoltà interne e sfrutta il fatto che il presidente USA si è inimicato il mondo: ha incrinato i rapporti con l’India e portato gli indiani a dialogare con i cinesi. Quella di Pechino non è la prima economia, ma è un Paese che, nonostante le difficoltà economiche e il momento di transizione, sta beneficiando degli effetti delle politiche trumpiane.
(Paolo Rossetti)
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