Nella trattativa sui dazi con gli Usa emergono i limiti dell'Ue, visto che la Germania segue la strada di negoziati bilaterali sulle esenzioni

Prosegue in Europa il dibattito sull’accordo raggiunto il 27 luglio tra Donald Trump e Ursula von der Leyen relativo ai dazi la cui entrata in vigore è prevista, dopo un rinvio, giovedì prossimo. Intanto il ministro delle Finanze, nonché Vicecancelliere tedesco, Lars Klingbeil, si è recato a Washington per incontrare il segretario al Tesoro Scott Bessent e discutere delle tariffe che dovrebbero essere applicate alle auto, un settore molto sensibile per l’economia del suo Paese.



Secondo l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili, l’accordo sancito in Scozia «ha lasciato insoddisfatti tutti in Europa, ma nessuno ha poi alzato il tiro più di tanto sconfessando del tutto la Presidente della Commissione europea, che ha sì delle responsabilità, ma anche delle attenuanti».

In che senso?



Nel senso che Italia e Germania, le due maggiori potenze manifatturiere europee, non volevano una rottura del negoziato o il ricorso all’arma dei contro-dazi, e preferivano un accordo. E un accordo c’è stato, anche se molto lacunoso, visto che ancora si sta lavorando sulle esenzioni.

Un accordo talmente lacunoso che ne esistono due versioni diverse, una di Washington e una di Bruxelles…

Sì, anche perché sul lato energetico, per esempio, l’intesa è molto impegnativa: si viene a spezzare probabilmente in maniera definitiva la dipendenza dal gas russo, ma se ne crea un’altra, sebbene con un Paese con cui si hanno accordi strategici di altro tipo, tra cui quello legato alla comune appartenenza alla Nato. C’è anche un impegno per 600 miliardi di investimenti europei negli Stati Uniti. E alla fine un reale calcolo dell’impatto di questo accordo non ce l’abbiamo ancora.



A livello politico, che impatto ha avuto questo accordo?

Dal punto di vista politico, permane un problema importante: l’Europa si è dimostrata ancora a metà del guado e in piena crisi esistenziale. Vedremo cosa dirà al riguardo Draghi al Meeting di Rimini.

Cosa potrebbe dire l’ex Premier?

Penso che rispetto al suo Rapporto, molto centrato sull’aumento della produttività europea, finora si sia visto poco. Soprattutto in questi mesi si sono riviste divisioni interne su cui già l’ex Presidente della Bce aveva puntato il dito quando aveva evidenziato la necessità di superare il voto all’unanimità. E anche questa questione è rimasta irrisolta. Credo, quindi, che nel suo intervento tornerà a battere con grande forza per richiamare l’Europa a uno sforzo maggiore su questi temi.

A proposito di divisioni interne all’Ue, il ministro delle Finanze tedesco si è recato a Washington per parlare di dazi, “scavalcando”, quindi, le Istituzioni comunitarie…

Nel quadro di possibili esenzioni da definire nel negoziato, pare in effetti che la Germania stia cercando di ritagliarsi un suo spazio. Se ne si avrà la conferma, allora potrebbe aprirsi la strada a mosse analoghe. Certamente si metterebbe ancora più a rischio la costruzione a 27: se ogni Paese discutesse i dettagli dell’accordo, verrebbe acuita la crisi esistenziale dell’Ue.

Certo è che se lo fa la Germania, ogni Paese non può non sentirsi autorizzato a negoziare in modo bilaterale con gli Usa…

Certamente. E dato che finora Italia e Germania si sono mosse di concerto su questo negoziato, gli indizi sull’eventuale prossimo Paese a muoversi per trattative bilaterali con Washington portano a Roma. D’altronde la Lega aveva già espresso la necessità di percorrere questa strada, ma la replica è stata sempre che si tratta di una tematica di competenza Ue. Se però emergesse questa possibilità per cui su alcuni dettagli è possibile negoziare autonomamente con Washington, l’obiezione verrebbe meno.

Se l’Italia dovesse prendere l’iniziativa non dovrebbe, quindi, crearsi uno scandalo…

Lo si creerebbe comunque, perché a quel punto se ogni Paese cominciasse a negoziare con Washington diventerebbe più evidente il problema esistenziale europeo.

Pensa che, vista anche l’insoddisfazione espressa sul negoziato con gli Usa, a settembre ci sarà una resa dei conti in cui si chiederà un passo indietro alla von der Leyen?

A meno di colpi di scena, derivanti anche dalla modalità con cui procederà la definizione puntuale dell’accordo con gli Stati Uniti, penso che la situazione sia destinata a rimanere fragile, ma senza una vera e propria messa in discussione della Commissione: nessuno vorrebbe in questa fase una “crisi al buio” che di fatto rafforzerebbe i partiti all’opposizione in Europa. Ancorché tra mille mal di pancia, non credo che Berlino, Parigi e Roma vorrebbero oggi “affondare” l’Esecutivo Ue.

Resta, però, la necessità, come aveva spiegato in una precedente intervista, di cambiare il Green Deal…

Certamente. Tutto quel tema legato alle promesse iniziali del secondo mandato della von der Leyen ancora rimaste sulla carta, come la revisione del Green Deal e il contrasto della deindustrializzazione europea, è vieppiù da riprendere urgentemente in mano, proprio per spegnere la protesta cavalcata dalle destre nazionaliste.

Trump potrebbe aver voluto approdare a questo tipo di accordo per mettere in forte crisi l’Ue?

Quello che pensa la nuova Amministrazione americana dell’Ue è noto e lo si è visto anche nel trattamento che le è stato riservato in ambito Nato. Credo che Trump, da abile giocatore di poker qual è, abbia voluto questa ultima fase negoziale in Scozia, con un’intesa che anche sul piano formale, visto che è stata sancita in una sua residenza privata, ha certificato il ruolo preminente degli Usa e la sua forza di coercizione nei confronti di Bruxelles, così da mettere ulteriormente in difficoltà e indebolire l’Ue, anche nella sua capacità di reazione.

L’accordo non è definito in tutti i dettagli, ma c’è già la richiesta di compensazioni e ristori per i settori più colpiti dai dazi. Cosa ne pensa?

In Italia ci sono richieste in tal senso sia dai sindacati che da Confindustria. Io credo che occorra fare attenzione per due ordini di motivazioni. La prima è che i dazi Usa, per quanto non ci piacciano, fanno parte delle “regole del gioco” del mercato e il rischio di impresa non può essere cancellato con un tratto di penna. La seconda è che occorre capire chi dovrebbe farsi carico dei costi di questi ristori. Sappiamo che in Italia, anche per la volontà di uscire presto dalla procedura di infrazione europea, i margini di bilancio sono molto limitati.

Anche per questo si parla di risorse in deroga al Patto di stabilità…

Sì, potrebbero anche essere risorse derivanti dal debito comune europeo, ma sempre qualcuno dovrà farsene carico, perché non esistono pasti gratis.

(Lorenzo Torrisi)

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