Le prospettive per l'economia europea non sono rosee. E sembra difficile per la Bce procedere a un nuovo taglio dei tassi

La Bce, come ha evidenziato nel Bollettino economico diffuso ieri, ritiene che l’economia dell’Eurozona, anche grazie alle decisioni prese nei mesi scorsi sulla riduzione dei tassi di interesse, abbia mostrato una buona tenuta, ma l’orizzonte resta incerto a causa delle controversie commerciali.

Come ci spiega Domenico Lombardi, Professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, «l’economia dell’Eurozona ha mostrato un significativo rallentamento nel secondo trimestre, mentre l’espansione registrata nel primo trimestre è stata in parte trainata da fattori temporanei, come l’anticipo delle esportazioni da parte delle imprese per aggirare i dazi che sarebbero stati imposti. A fronte di queste dinamiche, le prospettive nel breve termine restano deboli, prevalendo una incertezza elevata che frena gli investimenti privati. Sul fronte dell’inflazione, il quadro risulta stabile».



Cos’è lecito aspettarsi dalla riunione del Consiglio direttivo dell’Eurotower di settembre?

Risulta improbabile che la Bce proceda con un ulteriore taglio del costo del denaro a settembre. Tale possibilità rimane sempre sul tavolo qualora le prospettive congiunturali dovessero deteriorarsi significativamente. Diciamo che alla luce dei dati sino a oggi disponibili e dell’accordo quadro recentemente concluso dalla Commissione europea con l’Amministrazione americana, l’asticella per un taglio dei tassi si è alzata.



Ancora non sono chiari tutti i dettagli di questo accordo quadro, ma sembra che l’Amministrazione americana abbia chiesto impegni (dall’acquisto di beni energetici agli investimenti in territorio Usa) non facili da mantenere. Cosa pensa di queste condizioni che, se non rispettate, come ha fatto intendere Trump l’altro giorno, porteranno a un aumento delle tariffe doganali?

L’accordo apparentemente concluso dalla Presidente della Commissione europea si estende ad ambiti che non rientrano tra quelli delegati alla Commissione. Mi riferisco, per esempio, all’impegno assunto di acquistare forniture della difesa e GNL dagli Stati Uniti così come effettuare ingenti investimenti nella loro economia. È chiaro che un accordo mediocre è sempre meglio di nessun accordo. Tuttavia, avendo la Commissione perso la finestra temporale che si è aperta subito dopo Liberation Day, come invece ha fatto il Regno Unito, la strada per noi si è fatta in salita e, oggi, ci si deve accontentare. In contrasto, il Regno Unito è riuscito a negoziare un compromesso al 10% che rappresenta il miglior accordo di tutti.



Non escludo, poi, che vi siano alcuni Stati membri che hanno meno interesse a concorrere a una soluzione cooperativa, vuoi perché sono meno impattati dal (mancato) export verso gli Stati Uniti, vuoi per la situazione politica al loro interno per cui fa gioco una condizione di relativo caos da addebitare alle “destre” al governo.

Si è parlato molto della decisione della Fed di lasciare invariati i tassi, del dissenso di due membri del Fomc, e delle dimissioni anticipate di Adriana Kugler. Come vede la situazione della Banca centrale americana? Pensa che taglierà i tassi a settembre?

Il Presidente della Fed Powell ha, in effetti, segnalato che a settembre potrebbe esserci un taglio dei tassi e i dati del mercato del lavoro appena divulgati aggiungono ulteriore trazione a questo scenario. Non solo a luglio i nuovi posti di lavoro sono stati assai inferiori alla media recente, ma significative revisioni al ribasso sono state apportate alle stime per i mesi precedenti confermando un raffreddamento delle dinamiche occupazionali. Gli occhi degli analisti sono, ora, puntati sulla governance della Fed con le recenti, inattese dimissioni della Professoressa Kugler, nominata dall’Amministrazione Biden.

Come mai?

L’effetto di tali dimissioni è di dare maggiore latitudine all’Amministrazione Trump nella scelta del successore di Powell alla testa della Fed, scelta ora non più limitata agli attuali membri. Le dimissioni della Kugler, infatti, aprono per l’Amministrazione americana lo spazio per nominare nel Board della Fed un Governatore esterno con una eventuale investitura implicita di futuro Presidente. In tal caso, i prossimi mesi di convivenza tra il Presidente uscente Powell e il nuovo Governatore-Presidente in fieri potrebbero accentuare i conflitti in seno al board.

I dazi riusciranno a garantire alle casse federali americane tutti quei miliardi di gettito che l’Amministrazione ha stimato e di cui ha parlato ancora recentemente Trump?

Nel breve periodo, le aziende esportatrici negli Stati Uniti cercheranno di assorbire l’impatto dei dazi alimentando il gettito fiscale che ne consegue. Tuttavia, le misure restrittive nel tempo creeranno una segmentazione dell’economia americana dal resto del mondo che proverà a integrarsi maggiormente per mitigare, per quanto possibile, le difficoltà di esportare negli Stati Uniti. Utilizzare i dazi per fini fiscali è qualcosa che gli Stati Uniti hanno fatto nel primo secolo dalla loro fondazione e in assenza di un moderno sistema impositivo. Oggi, tuttavia, non appare né sostenibile, né desiderabile.

Dopo un forte aumento, il cambio euro/dollaro ha subito un brusco calo a fine luglio e ora sta risalendo ancora. Pensa che, se non una “guerra valutaria”, ci sarà comunque un confronto acceso anche su questo fronte che non è marginale per le esportazioni europee?

La debolezza del dollaro avvantaggia le aziende americane e svantaggia le nostre. In effetti, questo elemento avrebbe potuto essere valorizzato nel quadro del tavolo negoziale tra la Commissione europea e l’Amministrazione americana. Tuttavia, non mi risulta sia stato fatto. L’elemento conflittuale che può scaturire dalle dinamiche del cambio dollaro/euro è asimmetrico, nel senso che se dovesse muoversi in modo da svantaggiare i produttori americani ne deriverebbe una guerra valutaria. Però, il cambio si è mosso nella direzione opposta e l’Ue non è in grado di farlo valere, come infatti è appena accaduto.

Concentriamoci sulla situazione dell’economia italiana, soprattutto dopo il calo del Pil nel secondo trimestre e una nuova diminuzione tendenziale dell’indice della produzione industriale. Cosa si può fare per cercare di ridare slancio alla crescita? Si sta già parlando di compensazioni per i settori che subiranno gli impatti dei dazi, anche in deroga al Patto di stabilità. Lei cosa ne pensa?

Il quadro della crescita in Italia risente di una difficile situazione regionale e internazionale, rispetto alla quale la nostra economia ha mostrato una straordinaria resilienza. Per alimentarla nel tempo, occorre monitorare sulla puntuale attuazione del Pnrr, assicurando che i progetti di investimento siano eseguiti nei tempi previsti così da generare ricadute favorevoli. Per quanto riguarda il settore privato, esso va rafforzato con la semplificazione amministrativa e l’erogazione di capitale di debito e di rischio a costi accessibili per le imprese meritevoli. Infine, per i settori più colpiti dai dazi, una soluzione di mitigazione andrebbe trovata, ma a livello europeo visti gli scarsi margini di manovra nella nostra finanza pubblica.

Infine, riguardo l’ultimo dato sull’inflazione italiana, ha colpito una crescita del cosiddetto “carrello della spesa” (+3,4%) ben superiore a quella dell’indice generale (+1,7%). Il potere d’acquisto degli italiani rischia di subire un nuovo arresto dopo il recupero degli ultimi mesi?

Al di là di dinamiche idiosincratiche nell’indice generale dei prezzi, occorre considerare che l’inflazione in Italia si è stabilizzata ben prima del resto dell’Eurozona. Tuttavia, permane negli italiani il timore di dinamiche inflazionistiche come quelle recentemente osservate, avvalorate dalle conseguenze di eventi climatici estremi e significativi aumenti nelle materie prime che riflettono la crisi geopolitica in atto.

(Lorenzo Torrisi)

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