Sta iniziando una guerra commerciale che ha alla base un ritorno all'imperialismo nordamericano classico
Ho finalmente tirato un sospiro di sollievo quando su Le Figaro, cui sono abbonato da anni, ho potuto leggere un articolo di quella persona intelligente e preparata che è da sempre Anne de Guigné, la quale, il 3 aprile scorso, ha pubblicato un articolo in cui esplicita in parole semplici e chiare ciò che sostengo da quando il presidente Trump ha annunciato le sue misure sui dazi: sono solo posizioni declamatorie e polemiche nei confronti del mondo che hanno la loro origine nei problemi interni degli Usa e nella lotta ideologica che impazza ormai da anni.
Ma la sostanza della follia che ha preso il potere con una sceneggiata massmediatica viene svelata sol che si voglia ragionare liberamente. Armati delle loro calcolatrici e dei dati del 2024 del Dipartimento del Commercio, i giornalisti del Financial Times, ci ha ricordato Anne de Guigné, hanno ricostruito il fantasioso metodo scelto dai teams di Donald Trump: le tariffe indicate dal Presidente sono il risultato di una semplice divisione del surplus commerciale di un Paese con gli Stati Uniti per le sue esportazioni totali. Questa cifra viene poi, molto sorprendentemente, dimezzata, in guisa di “favore” che gli Usa compirebbero nei confronti dei loro competitori…
Per quanto concerne la Cina, per esempio, si presume che il surplus commerciale con gli Stati Uniti raggiungerà i 295 miliardi di dollari nel 2024, somma che viene divisa per le esportazioni totali di 438 miliardi di dollari, il che dà una cifra pari al 68%. Diviso per due, l’aliquota del dazio doganale è del 34%. Una magia, un’illusione da pallottoliere, appunto. E la Cina ha risposto da par suo, accettando la sfida con l’elevazione di contro-dazi di pari entità.
E qui veniamo al punto decisivo: inizia una guerra commerciale che ha alla base un ritorno all’imperialismo nordamericano classico, quello che portò, per esempio, gli Usa al loro nascere a sottrarre la California al Messico, sconfiggendo definitivamente le illusioni della Francia di mantenere un certo qual ruolo nelle due Americhe (nessuno ricorda più che nel 1870 Napoleone III invase il Messico, che aveva deciso di non pagare più i propri ingenti debiti nei confronti delle banche francesi: venne così posto sul trono messicano Massimiliano, fratello dell’imperatore d’Austria, generando un conflitto internazionale che mi è tornato alla mente oggi che ci si racconta la delirante canzone che a decidere delle sorti del mondo sono i calcoli dei computer…).
“Le cifre [delle tariffe per Paese] sono state calcolate dal Council of Economic Advisers… sulla base del principio che il deficit commerciale che abbiamo con un dato Paese è la somma di tutte le pratiche commerciali, la somma di tutti gli imbrogli”, ha detto un funzionario della Casa Bianca al New York Post, descrivendo questa situazione come “la più equa del mondo”.
Da Massimiliano del Messico eccoci al regno dei “matematizzatori” del mondo…
Ma torniamo a noi: il metodo è sorprendente e, in primo luogo, non tiene conto dell’ammontare – sui volumi del commercio mondiale – dei servizi alle imprese, che agiscono potentemente sulla total factory productivity, e che sono a favore degli Stati Uniti, grazie alle corporations finanziarie e culturali Usa che dominano il mondo.
In definitiva, e questo è veramente sconcertante, questo approccio statistico da pallottoliere nega la nozione stessa di vantaggio comparato, che è alla base delle stesse teorie liberiste che dovrebbero essere il fondamento del mainstream dominante. Insomma, siamo caduti indietro… indietro… in fondo… in fondo… addirittura prima di David Maria Ricardo. Dimenticavo per un momento, però, che oggi nelle università di tutto il mondo la storia e la teoria dell’economia non si insegnano più… ed eccoci, allora, alla barbarie mediatica del pensiero.
Era, David Maria Ricardo, il fondatore dell’economia politica e sosteneva che un disavanzo commerciale non riflette necessariamente pratiche sleali, ma molto più spesso differenze di competitività tra due industrie nazionali. Elementare Watson, ma non lo sa più nessuno… o nessuno lo dice più.
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