La crisi italiana va al di là dei partiti, del debito e del governo straordinario di Mario Draghi. Negli ultimi 30 anni si è rotto in mille pezzi il sistema che aveva retto il paese dal dopoguerra. Alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia fu rimessa in piedi e retta da un coagulo di forze diverse interne ed esterne. Dall’esterno per la prima volta nella sua storia unitaria hanno indirizzato e guidato l’Italia l’America, la Chiesa e, nel corso degli anni, le politiche sempre più stringenti di quella che è diventata l’Unione Europea.
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Sul fronte interno un gruppo di grandi imprese a partecipazione statale ma con larghissima autonomia di manovra, e private, fortemente “patriottiche”, hanno sorretto questi equilibri: l’Iri, Mediobanca, l’Eni, la Fiat, la stessa Rai, che contribuì non poco a formare una nuova identità culturale italiana. Inoltre c’erano i partiti, ciascuno fortemente organizzato, con dibattiti culturali intensi e proprie scuole di partito. Prima della guerra il regno d’Italia non aveva presenze esterne così forti nel governo, come America o Vaticano, anche se i Savoia erano stati abilissimi a districarsi nel dedalo della diplomazia europea.
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Poi, negli ultimi 30 anni, l’America non ha più pensato all’Italia, perché non era più marca di frontiera con l’impero sovietico e perché la concentrazione si è spostata in Asia, in Cina.
La Chiesa anch’essa si è distaccata dalla penisola che, con le sue tante controversie interne, rischia di essere una palla al piede, e si è proiettata verso il mondo, verso l’Asia, patria del 60% della popolazione mondiale. Qui, se si escludono le Filippine, una specie di propaggine locale dell’America Latina, i cattolici sono appena tra il 2 e il 4% della popolazione totale.
L’intervento della Ue si è rafforzato invece, ma si è basato spesso semplicemente su criteri contabili, senza cultura e senza politica. Non c’è infatti una cultura “europea”, c’è una cultura francese, tedesca, italiana, spagnola eccetera, ma non della Ue. Lo stesso dicasi per la politica.
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Nel frattempo anche sul fronte interno tutto è franato. Sono crollati i partiti, con le loro scuole. Le grandi imprese di Stato si sono impoverite come strutture e le loro spoglie sono diventate materia di conquista per i partiti che a turno hanno vinto le elezioni. Altre imprese private sono state vendute all’estero, come Pirelli, o sono emigrate, come la Fiat.
Nel frattempo il divario tra Nord e Sud, che era stato in parte colmato dalle politiche per il Mezzogiorno, è tornato ad allargarsi.
Intanto i partiti fortemente strutturati della prima repubblica hanno lasciato spazio a macchine caccia-voti incentrati su personaggi da spettacolo o spettacolari, spesso tutti assorbiti dalla stretta attualità e incapaci di capire il contesto di lungo-medio termine.
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Il debito, divenuto ingovernabile anche perché le strutture esterne ed interne erano assenti a fornire rimedi per tempo, ha subìto in aggiunta gli effetti devastanti dovuti al Covid e alla crisi internazionale tra Usa e Cina.
In questa situazione Draghi è stato ed è una toppa; sacrosanta, ma non sufficiente.
In questi anni sono cresciute molto piccole e medie imprese che in alcuni casi sono diventate leader mondiali nei loro settori di nicchia. Queste aziende guidano le esportazioni italiane. Il problema forse è come far crescere queste aziende da medie a grandi, da piccole a medie e poi legarle al paese.
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Oggi spesso queste aziende cercano di sfuggire l’attenzione pubblica, timorose del peso eccessivo delle tasse, dei mille lacci della burocrazia e anche delle onerose richieste di favori della politica. Esse sanno che senza Italia non ci sono neanche loro, ma questo legame con il paese deve diventare più organico e meno casuale.
Per gli Usa e il Vaticano, entrambi attenti all’Asia pur con agende diverse, l’Italia ha oggi un’importanza nuova, perché è il punto di arrivo della Nuova Via della Seta cinese. Per questa ragione è nelle attenzioni della Cina, e quindi l’Italia torna ad essere importante anche nel rapporto della Cina con l’America.
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L’Italia è la radice culturale di America e Vaticano. Per quanto essi giustamente vogliano evolvere, perdere le radici significa perdere la base stessa della loro futuro. Come l’America e la Santa Sede possano recuperare un rapporto forte con l’Italia non è ancora chiaro, ma è chiaro che esso è utile proprio rispetto all’Asia.
Infine i partiti. Essi devono ricreare scuole di formazione vere che li aiutino a strutturarsi e pensare. Con la debolezza dello stato e la debolezza delle aziende è vano sperare che essi creino think tank o grandi scuole di amministrazione su modello di altri paesi. Bisogna ricominciare dai partiti, mattone angolare delle istituzioni, secondo la costituzione.
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La cultura italiana è un giacimento enorme a cui stanno attingendo, giustamente come abbiamo visto, anche i due grandi giganti in lizza Usa e Cina. Il paese dovrebbe/potrebbe trasformare l’eredità culturale italiana in ispirazione nazionale e globale per il futuro, così come ha fatto la moda italiana con la cultura rinascimentale.
Queste sono tutte occasioni e opportunità che questo governo ma soprattutto i partiti, tutti, dovranno e potranno cogliere per ricominciare la ricostruzione. La crisi del Covid infatti non è finita. Forse, se tutto va bene, finirà verso l’estate del 2022. Storicamente, però, grandi crisi politiche sono scoppiate dopo la fine delle pestilenze. Così l’Italia oggi deve cominciare a prepararsi ai sussulti prevedibili nel dopo Covid, che potrebbe essere più turbolento del Covid stesso.
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