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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » SCENARIO FED/ La solidarietà di Wall Street a Powell odora di conflitto d’interesse

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  • Economia e Finanza

SCENARIO FED/ La solidarietà di Wall Street a Powell odora di conflitto d’interesse

Nicola Berti
Pubblicato 21 Luglio 2025
Jamie Dimon (Ansa)

Jamie Dimon (Ansa)

Fa discutere il caso dei grandi banchieri Usa che sostengono il capo della Federal Reserve contro Trump

Jerome Powell – in bilico al vertice della Fed – è entrato ormai del tutto nei panni del protagonista di una pièce classica: quella del tecnocrate – buono per definizione – vittima predestinata di un politico narrativamente ultra-cattivo come il Presidente Donald Trump. E i modi e i toni della Casa Bianca, certamente, non aiutano a osservare quanto sta accadendo attorno alla banca centrale del dollaro, sotto la luce appiattita dai flash mediatici.


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Negli ultimi giorni è avvenuto ad esempio che i quattro maggiori Ceo di Wall Street (di JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America e Citigroup) abbiano pubblicato un raro appello congiunto a favore di Powell. Salutati – il boss-veterano di JPMorgan Jamie Dimon e i suoi colleghi – dagli applausi di un vasto fronte politico-mediatico di “resistenza” anti-trumpiana.


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Da un’angolatura meno partizan, la solidarietà dei grandi banchieri al “loro” banchiere centrale – il primo fornitore della loro materia prima monetaria – potrebbe spiccare invece come sintomo di serio conflitto d’interesse in una democrazia di mercato. E tutto potrebbe essere incluso in un bilancio obiettivo sull’operato di Powell, in carica ormai dal 2018. A lui possono certamente essere riconosciute tutte le attenuanti di una fase storica senza precedenti (segnata dal Covid e poi dalla crisi geopolitica), ma anche le aggravanti in caso di “errori” che in uno scenario simile tendono inevitabilmente a pesare il doppio o più.


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I banchieri che spalleggiano Powell restio a tagliare rapidamente i tassi – come invece sollecita Trump – sono gli stessi che grazie ai tassi alti hanno tutti archiviato nel 2024 il terzo bilancio record consecutivo. Hanno tutti approfittato in misura massima dell’escalation restrittiva della politica monetaria decisa – in via formalmente autonoma – dalla Fed per domare l’inflazione esplosa negli Usa per tre ragioni.

La prima (oggettivamente esogena) è stata l’impatto dal terremoto-Covid sulla produzione e sul commercio internazionale. Ma le altre due spinte ai prezzi sono giunte da scelte politiche discrezionali del Presidente dem Joe Biden: aver continuato in chiave di politica sociale i sussidi d’emergenza già decisi da Trump nei primi sei mesi di pandemia; e poi aver lasciato deflagrare – per tre anni – prima il conflitto russo ucraino, poi quello in Medio Oriente, in un clima di confrontation crescente con la Cina.

Chi accusa oggi Trump di aver fatto risalire l’inflazione al 2,7% dopo sei mesi di stress-dazi (più minacciati che praticati) dimentica il dazio interno imposto da Biden con una conduzione geopolitica discutibile nelle premesse e nelle realizzazioni.

C’è chi trascura volentieri che nel 2022 l’indice dei prezzi ruggiva al ritmo del 10%: anche se l’ex Presidente della Fed Janet Yellen – trasmigrata a segretario al Tesoro nell’amministrazione Biden – sostenne poi di “non aver visto arrivare l’inflazione”. Eppure fin dal boom del prezzo del gas, a fine 2021 non era difficile prevedere che anche la benzina – anche in un Paese praticamente autosufficiente sul piano energetico – sarebbe arrivata a costare 5 dollari al gallone (oggi è tornata attorno a 3).

Non era inimmaginabile che – lasciando scoppiare la guerra in Ucraina – nelle grandi metropoli milioni di famiglie non sarebbero più riuscite a pagare le bollette. Mentre il caro-tassi deciso dalla Fed – assecondando passivamente le scelte politiche della Casa Bianca dem – avrebbe colpito sia i piccoli proprietari a debito, come ai tempi dei subprime, sia i costruttori delle megatorri sopra Central Park.

Per le banche e per i loro azionisti – così come per i giganti dell’energia – sono stati però anni indimenticabili. E i giganti bancari in particolare hanno beneficiato della prosecuzione “con altri mezzi” di un decennio politico-finanziario altrettanto dorato: quello iniziato con il salvataggio pubblico di big tutte più o meno in dissesto nel 2008.

Le stesse banche sono stati poi in forma con anni di tassi tenuti artificialmente zero dalla Fed. Zero senza ombra di dubbio per i risparmiatori, mentre JpMorganChase e le sue sorelle mettevano a bilancio per intero i complementi di quello zero. Decisione (tecnica o politica?) imposta di Tim Geithner: il capo della Fed di New York che aveva (mal) vigilato su Lehman Brothers, subito chiamato al Tesoro da Barack Obama e dal suo vice Biden. Le banche erano un “patrimonio nazionale” che andava tutelato a vario onere pubblico: deciso dall’Amministrazione (dem) e dalla Fed (dem), senza troppe muraglie cinesi in mezzo.

Allora il “Quantitative easing” monetario è stato un mantra-dogma per anni e anni: predicato e praticato da Yellen alla Fed (nonché da Mario Draghi nell’Eurozona, nonostante la tenace opposizione tedesca). Oggi è Trump a chiedere un po’ di “easing” – a favore di imprese e famiglie, non delle banche – ma si attira le accuse di essere un pericoloso autocrate, manipolatore politico della – sempre pretesa – indipendenza tecnocratica della banca centrale.

P.S.: Fra le vittime collaterali della “gestione Biden” della Fed vi sono state alcune banche fallite a causa di tassi improvvisamente “troppo alti” per i portafogli titoli zeppi di bond governativi. Il crack più emblematico è stato quello della Silicon Valley Bank, sotto la vigilanza della Fed di San Francisco: quella che aveva lanciato Yellen come “regina del dollaro”.

E sempre nella California iper-dem aveva sede la First Republic Bank: salvata dalla JPMorganChase, di peso e in fretta, per non disturbare troppo l’Amministrazione Biden e la stessa Fed. Ma Dimon era fra i moltissimi americani – forse tutti – che nel maggio 2023 mai avrebbero immaginato che nel novembre 2024 sarebbe tornato alla Casa Bianca un immobiliarista di New York: perennemente allo sportello bancario a chiedere crediti e a battagliare sui tassi. È andata diversamente e ora è Trump a batter cassa allo sportello.

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Tags: Donald TrumpBarack ObamaInflazioneEconomia USAJanet YellenJoe Biden

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