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Home » Esteri » Medio Oriente » SCENARIO GAZA/ “I piani di Arabia, Trump e Haaretz dimenticano che i palestinesi ci sono ancora”

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SCENARIO GAZA/ “I piani di Arabia, Trump e Haaretz dimenticano che i palestinesi ci sono ancora”

Int. Paola Caridi
Pubblicato 3 Febbraio 2025
Palestinesi sulla Al Rashid Road, Gaza City (Ansa)

Palestinesi sulla Al Rashid Road, Gaza City (Ansa)

Occupazione di Gaza o un piano di pace Trump-Bin Salman: Israele al bivio. Ma senza coinvolgere i palestinesi si andrà sempre allo scontro

Da una parte, un piano che prevede l’occupazione della Cisgiordania, il ritorno della guerra a Gaza e l’occupazione della Striscia. Dall’altra, un progetto targato Trump-bin Salman, al quale potrebbero aderire UE, Qatar ed Egitto, ma anche gli Emirati Arabi Uniti, che prevede la pace di Israele con l’Arabia Saudita, la creazione di una coalizione anti-Iran e di uno Stato palestinese. Un’alternativa, fatta propria dal quotidiano israeliano Haaretz, che propone di abbandonare l’opzione militare perseguita finora da Netanyahu per prendere in considerazione un nuovo ordine mediorientale basato su una soluzione della questione palestinese. Un’ipotesi che potrebbe essere accolta dall’opinione pubblica: secondo un sondaggio, il 71% sarebbe favorevole a un accordo regionale con la presenza di un fronte anti-iraniano e la concessione di uno Stato palestinese.


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Il problema, però, osserva Paola Caridi, saggista e presidente di Lettera 22, è che si tratta di piani sulla carta, in cui i palestinesi non vengono considerati come soggetto politico. Eppure, proprio di questo ci sarebbe bisogno: di un governo palestinese riconosciuto e parte in causa. Altrimenti si rischia, come è stato in questi decenni, una contrapposizione continua. Intanto, Netanyahu vola a Washington da Trump, che lo ha convocato. E non è affatto detto che i due siano sulla stessa linea.


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Haaretz propone a Israele di abbandonare la strategia attuale, che punta all’annessione della Cisgiordania e a riprendere la guerra a Gaza, per condividere un piano di pace targato USA-Arabia Saudita che porti anche a uno Stato palestinese. Un’alternativa credibile?  

Di quale pace si tratta? Con chi? Per arrivare dove? Si vuole tornare a prima del 7 ottobre? La vera ferita, conclamata ormai da 15 anni, è il processo di Oslo e il mancato riconoscimento reciproco della presenza delle parti in causa, non solo degli eventuali due Stati, uno di Israele e uno di Palestina. La società israeliana non può pensare di rimettere tutto come prima, perché tanto potevano costruire colonie e riempire le prigioni di palestinesi, in gran parte in detenzione amministrativa senza un giusto processo. La situazione la si affronta cambiando totalmente il paradigma.


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Il piano americano-saudita godrebbe, almeno sulla carta, dell’appoggio internazionale. Non basta?  

La seconda ipotesi formulata da Haaretz mi sembra comunque folle. E questo lo dice anche quello che Trump ha chiesto a Egitto e Giordania, cioè di prendersi un milione e mezzo di palestinesi da Gaza: tutti (Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Emirati Arabi) gli hanno risposto che non è proprio possibile. Non è detto che il quadro regionale sia così compatto come invece viene narrato sulla pubblicistica occidentale, ma se si mettono insieme Qatar, Egitto, Giordania ed Emirati, vuol dire proprio che la misura è colma.

L’occupazione di Gaza da parte di Israele, invece, è possibile?  

Hamas ha cercato di dare una prova di forza mediatica in occasione della liberazione degli ostaggi: una comunicazione perfettamente elaborata in cui venivano messi in evidenza gli esponenti delle brigate Al-Qassam. Non so, però, se questo significhi controllo del territorio, perché se è completamente distrutto, dov’è la vittoria di Hamas? Una cosa tuttavia è certa: anche le forze armate israeliane non sono riuscite a stabilire il controllo di Gaza.

Eppure, almeno la destra religiosa dice che bisogna continuare a combattere per occupare la Striscia. Israele si è davvero accorta che controllare tutto diventa difficile?  

Lo ha detto pure Giora Eiland, il generale del piano che prevede di fare piazza pulita nel Nord di Gaza. Una cosa, infatti, è bombardare a tappeto, un’altra controllare il territorio. Lo sa bene l’IDF, tanto è vero che il capo di stato maggiore Herzi Halevi si dimette il mese prossimo. Ma se non si controlla un territorio, come si fa a occuparlo? Altra cosa, poi, è quello che stanno facendo i soldati e i coloni israeliani in Cisgiordania.

Lì che cosa emerge?

La presenza attiva dei militari ci dice che il piano Smotrich, cioè l’annessione della stessa Cisgiordania, probabilmente è ciò che Trump ha promesso o lasciato intendere. Quello che è stato fatto nei campi profughi del nord ora avviene anche nella zona di Hebron e ci dice che vogliono annettere il più possibile di quell’area. La tregua è solo a Gaza, non in Cisgiordania, dove sono stati ammazzati minori su minori: l’ultimo aveva 14 anni. È stato ucciso anche un uomo di 73 anni, rientrato nel campo profughi per prendere qualcosa a casa sua.

Insomma, sul tavolo non c’è nessuna soluzione credibile per il futuro?  

Non vedo nessuna ricetta che possa tenere più di un anno, sei mesi. Perché quello che si sta verificando, da una parte, è un attacco ai palestinesi, che se ne dovrebbero andare da Gaza e dalla Cisgiordania, e, dall’altra, una reazione non tanto delle brigate Al-Qassam, quanto della popolazione della Striscia. Quel mezzo milione di persone non è una massa informe di famiglie, vecchi, bambini, disabili, come dire, di sopravvissuti, ma un preciso attore politico. Se gli Stati arabi arrivano a una dichiarazione in cui si dice che non si può svuotare Gaza, è proprio perché quella popolazione è un attore politico. Se non cambiano i paradigmi, nessuna proposta come quelle formulate su Haaretz potrà andare in porto.

Allora il nodo da sciogliere è il soggetto palestinese a cui rivolgersi. 

Il problema è che c’è un attore della situazione, quello palestinese, diviso in diversi soggetti, la popolazione, l’ANP, Hamas, la brigata Al-Qassam a Gaza, ma non si riesce a mettere insieme una governance palestinese. Come si fa ad avere una rappresentanza unica se non esiste un soggetto unico palestinese dal punto di vista geografico e della governance? Non si può gestire Gaza senza coinvolgere le brigate Al-Qassam, o la burocrazia che lavora sul terreno, negli enti locali. Non si può non tenere conto della leadership politica, che adesso cambierà perché sono arrivati i prigionieri scarcerati da Israele, che andranno a riempire le file dell’esilio di Hamas. E c’è comunque una società civile, c’è una popolazione devastata a Gaza che ha dimostrato che, mentre tutti parlano di ricostruzione, vuole rimettere in piedi le case per conto suo, anche se sa che non c’è acqua.

Insomma, per il futuro ci sono troppi piani costruiti a tavolino e che non tengono veramente conto della realtà palestinese. Intanto, però, nelle prossime ore Netanyahu incontrerà Trump a Washington: sanciranno un’alleanza ancora più stretta fra Israele e USA?  

Non credo ci sia un piano comune: sarà un confronto fra due linee. E non è detto che coincidano. L’Occidente guarda a questo incontro come la sfida di Trump, che nonostante il mandato d’arresto della Corte Penale internazionale, riceve come primo capo di governo Netanyahu. Io penso che Trump convochi Netanyahu per capire come gestire la fase numero due della tregua, quella che gli è stata chiesta dai familiari degli ostaggi, tra i quali ci sarebbero ancora degli americani. Bisogna vedere cosa vuole fare Trump: credo che ricominciare la guerra non sia nelle possibilità di Netanyahu, ma penso ancora meno che il presidente USA voglia la ripresa del conflitto. Se deve rilanciare gli Accordi di Abramo, e coinvolgere anche l’Arabia Saudita, non può riprendere il genocidio a Gaza. Per questo dall’incontro Trump-Netanyahu mi aspetto delle sorprese.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpBenjamin Netanyahu

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