Il popolo palestinese, decimato dalle bombe israeliane e dall’uso strumentale ed assassino di Hamas, tradito dagli Stati arabi, c’è ancora

Uno degli effetti degli accordi di pace tra Hamas e Israele è la possibilità per i giornalisti di entrare nella Striscia di Gaza, un po’ come i camion degli aiuti umanitari. Possibilità negata per mesi: gli unici giornalisti presenti, essendo gazawi, sono stati uccisi da Israele, come sappiamo, con l’accusa di essere collaborazionisti di Hamas.



Avevamo il desiderio di vedere i volti dei palestinesi, le persone in carne e ossa: toccare con mano l’umanità di chi si è trovato intrappolato in questa immane tragedia. Non solo fiumi umani di esiliati, nomadi nella loro stessa terra, inquadrati dall’alto; non solo ombre lontane, fantasmi che si muovono tra le macerie e i detriti di una landa devastata e avvelenata. Volevamo vedere i loro volti da vicino, sentirli raccontare, ascoltare le loro parole oggi.



Ora le persone sono ricomparse. Nei servizi di questi ultimi giorni i giornalisti le stanno cercando, cogliendone al volo qualche commento e pensiero, mentre tornano stremati alla loro terra e a quel che resta della loro città. Sono certamente selezionate, tra le tante interviste che stanno facendo. E anche se sembrano veritiere, non sappiamo fino a che punto ci si possa fidare.

È infatti accertato che ormai il 40 per cento di ciò che gira sulla rete e sulle tivù, informazione compresa, è prodotto dall’intelligenza artificiale applicata, cioè non è reale, ma viene dalla realtà robotica che genera sé stessa, per cui c’è poco da fidarsi (direi che questa crescente sfiducia nei dati che ci arrivano è la conseguenza maggiore dell’introduzione sempre più invadente dell’intelligenza artificiale).



Ma qualcosa di sorprendente ci raggiunge comunque, ed è lo spirito dei palestinesi. La maggior parte delle interviste alla gente comune ci restituisce ritratti umani straordinari: tutte le persone interpellate dai giornalisti sono ovviamente contente della fine (apparente) dei bombardamenti e del ritorno a casa. Pare che mezzo milione di persone in un paio di giorni abbia fatto rientro nel nord della Striscia, che era stato sgomberato a suon di bombe da Israele.

Tutti ricordano i morti della propria famiglia: si tratta di interviste a vedove, vedovi, orfani e genitori che han perduto i figli. Ma, anche se straziati da ferite incurabili, gioiscono di poter tornare alla loro terra e ringraziano continuamente Dio, secondo la tradizione di una cultura che ha l’intercalare della lode ad Allah nel linguaggio quotidiano.

Queste brevi testimonianze che trapelano dall’informazione ci fanno cogliere cosa dà forza a questo popolo disgraziato: un insieme di appartenenza alla propria terra e di nativo senso religioso e amore per Dio.

Proteste anti-Netanyahu a Tel Aviv nel settembre 2024 (Ansa)

Quando scatta il confronto, il nostro spirito occidentale se ne stupisce e quasi non comprende. Nessuno di noi rimarrebbe in quella terra che, come ci informano, è ormai quasi tutta inquinata, distrutta, inservibile. Alla prima occasione, ce ne andremmo tutti. Per quanto riguarda Dio, lo bestemmieremmo, altroché, cosa che già facciamo pur vivendo in terre privilegiate. Scatterebbe al massimo il dubbio sulla giustizia di Dio, sul perché permette tutto questo: la tipica domanda di chi ha già deciso che Dio non esiste o, al massimo, è un demiurgo cattivo che è meglio ignorare.

I palestinesi no. Dell’amore per la terra e per Dio fanno la loro forza e probabilmente molti di loro sono ancora in vita e sani di mente solo per questo.

Certo, non tutti i palestinesi. C’è anche Hamas, che usa apparentemente lo stesso Dio per fini opposti, cioè per odiare il nemico sionista e, in fondo in fondo, i palestinesi stessi. Hamas è infatti un’organizzazione terroristica che non s’è fatta scrupolo di far scatenare un genocidio del suo stesso popolo per raggiungere precisi scopi politici, che sono rafforzare sé stessa e mostrare al mondo il vero volto del sionismo. Scopi ampiamente raggiunti, ma a che prezzo!

È impossibile, infatti, che non avessero previsto le conseguenze dell’attacco del 7 ottobre 2023, anzi, pare ormai certo che Hamas abbia ricevuto finanziamenti da Israele stesso, in uno squallido gioco delle parti. Ed è misterioso il motivo per cui abbiano trattenuto gli ostaggi fino ad oggi, se non perché volessero deliberatamente che Israele continuasse la sua mattanza, lasciando vivo il pretesto.

Si chiamano islam sia il senso religioso della maggioranza dei palestinesi (che sono anche cristiani, va ricordato) che quello di Hamas, ma sembrano due religioni contrapposte. Il primo è forza e sostegno, amore per la propria terra e consolazione nella tragedia. Il secondo è ideologia di odio, fomentatore di violenza, sostegno del potere.

Lo stesso che sostiene le cosiddette monarchie del Golfo, in fondo, le ricchissime e potentissime dinastie che non hanno mosso un dito per difendere i poveri palestinesi, e non si sa perché. Hanno però spinto Trump – che se ne sta stranamente prendendo i meriti mentre per mesi ha lasciato fare –, a costringere Israele a smetterla solo quando Netanyahu ha fatto l’errore tattico di bombardare in Qatar.

È la strana ideologia di un islam politico che fa affari con gli infedeli, perfino con i sionisti, e ignora gli arabi di Gaza, lasciandoli morire da anni. Un islam di Stato che schiaccia l’autentica fede musulmana dei palestinesi, unica cosa che li fa stare in piedi, e che in fondo in fondo disprezza gli stessi arabi tra cui è nato, la gente comune di quelle terre che ne furono la culla.

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