Dalle foto riparatrici con Angela Merkel ai vertici ospitati nella casa romana di Villa Grande, Silvio Berlusconi cerca di riconquistare la scena politica. Rinfrancato dall’assoluzione nel processo Ruby ter, passata sotto silenzio dalla grande stampa, il Cavaliere esplora il terreno per la sua discesa in campo più ambiziosa: la conquista del Quirinale.
Di solito chi parte in anticipo nella corsa al Colle parte sfavorito, ma Silvio vorrebbe sfatare la tradizione. E sfida anche i numeri, che non sono proprio dalla sua parte: difficile che il prossimo capo dello Stato possa essere eletto senza i voti del primo partito in Parlamento, cioè il M5s. Per Beppe Grillo, Berlusconi è sempre stato lo “psiconano”. Un conto è stare al governo con Brunetta, Carfagna e Gelmini, un altro scrivere nero su bianco il nome del “Caimano” sulla scheda.
Ma il paradosso maggiore è che i peggiori segnali di sfaldamento per il Cavaliere vengono dal suo stesso partito. Magari non arriveranno a pugnalarlo dall’interno, come capitò 7 anni fa a Romano Prodi, quando nel Pd vennero meno i famosi 101 voti. È invece il domani che lacera Forza Italia, perché il partito è diviso tra i draghiani e i più sensibili al richiamo della destra sovranista.
La resa dei conti verrà dopo il voto per il Quirinale, che segnerà la svolta definitiva per gli azzurri: che diventi o no presidente della Repubblica, Berlusconi dirà addio al partito. E l’ennesimo casting per la successione non punta né sugli attuali vertici di Forza Italia né tantomeno su Salvini e Meloni, ritenuti “due ragazzi”, giovani politicanti inadeguati al ruolo.
L’ex premier cerca ancora una volta un nome nuovo, un “federatore” esterno ai partiti, un “Papa straniero”, come se chi viene da fuori avesse automaticamente il tocco magico capace di risolvere tutti i problemi. Il “Corriere della Sera” ha scritto che la scelta sarebbe tra “un grandissimo imprenditore del Nordest ben visto anche dal centrosinistra”, “un rappresentante delle istituzioni ma non in ambito politico” e “un grande manager da sempre vicino” allo stesso Berlusconi. Sarebbe una riproposizione dello schema Draghi: i politici a sudare sangue per strappare voti e consenso da consegnare a una persona terza che poi gestisce il potere gentilmente regalatogli. E magari lo fa rispondendo a logiche diverse da quelle degli elettori.
Nonostante le distanze, il bivio davanti al quale si trova Forza Italia è lo stesso che deve affrontare la Lega. Da un lato, l’elettorato scontento e deluso, sempre più disorientato dopo la pandemia, limitato nelle libertà personali, dalle prospettive incerte per il lavoro e per una vita sociale che stenta a riprendere i ritmi di due anni fa; dall’altro, l’opzione governativa che comporta lo spostamento al centro, l’adesione ai voleri di Bruxelles e il lasciapassare delle cancellerie europee.
Sarà una scelta cruciale, perché oggi la destra in Italia in realtà è il partito delle periferie e degli esclusi, un blocco sociale molto consistente. Il centrodestra, secondo la formula degli ultimi 25 anni, secondo i sondaggi è ancora maggioritario nel Paese, ma non è chiaro se esso resterà unito, se sceglierà la strada populista o quella “responsabile”, oppure se non scioglierà i nodi e resterà “di lotta e di governo”.
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