Ieri a Bruxelles Mario Draghi ha ricordato la situazione critica in cui si trova l'Ue, anche per via della situazione in cui si trova la Commissione
Ieri a Bruxelles si è tenuta la Conferenza di alto livello “Un anno dopo il rapporto Draghi: cosa è stato realizzato, cosa è cambiato”, in cui hanno tenuto un discorso sia la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che l’ex Presidente della Bce, il quale ha evidenziato come la situazione dell’Europa sia più difficile di un anno fa, anche per la lentezza con cui si sta muovendo. Dal suo punto di vista, “l’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra stessa sovranità”.
Un nuovo richiamo alla necessità di cambiare marcia dopo quello arrivato a fine agosto dal Meeting di Rimini. Anche se, spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili, «con un peso ancora più forte, anche nei toni. Probabilmente Draghi voleva trasmettere il senso dell’urgenza di muoversi. Il suo mi è sembrato un appello finale, anche perché ha evidenziato che in gioco non c’è solo la competitività dell’Europa, ma anche la sua sovranità».
Come giudica l’intervento di Ursula von der Leyen, secondo cui l’Ue ha fatto molto per implementare le indicazioni del Rapporto Draghi, ma la missione non è ancora compiuta?
La Presidente della Commissione ha cercato di barcamenarsi. Mi pare tuttavia, sia per il contenuto del discorso dell’ex Premier italiano che per l’analisi dell’European Policy Innovation Council, secondo cui solo l’11% degli obiettivi indicati nel Rapporto Draghi è stato centrato, che la missione non sia quasi nemmeno cominciata.
Draghi è intervenuto anche su un tema chiave per l’industria automobilistica europea: il bando dei motori endotermici previsto per il 2035.
Quando ha detto che gli obiettivi che l’Ue si è posta nel settore automobilistico si basano su ipotesi che non sono più valide, ha detto una cosa che in tanti sapevano già, ma ci ha messo un importante timbro di autorevolezza e di spinta per un cambiamento.
Ursula von der Leyen la scorsa settimana ha in qualche modo aperto alla possibilità di rivedere l’obiettivo del 2035, ma ha anche parlato della necessità di arrivare a produrre piccole e-car europee. Dalle parole di Draghi non sembra, però, che questo sia possibile…
Nella sua analisi, l’ex Presidente della Bce ha evidenziato che in Europa non c’è stato lo sviluppo di batterie e di infrastrutture di ricarica che avrebbero dovuto rendere più economici i veicoli elettrici. Non ha, quindi, molto senso discutere di piccole o grandi auto elettriche fabbricate nell’Ue se mancano le basi per realizzarle in modo che possano poi essere acquistate dai cittadini europei. Bisognerebbe ammettere gli errori fatti e vedere cosa oggi si può realisticamente fare per mantenere in vita il settore automobilistico.
Draghi ha affrontato un altro tema con ricadute industriali, quello relativo ai costi dell’energia, evidenziando il ruolo che può avere il nucleare nel farli scendere. Eppure, ancora non sappiamo se l’Ue lo considererà tra le fonti green.
Manca una scelta di fondo chiara su questo punto e la von der Leyen, pur avendo riconosciuto le disparità esistenti a livello di prezzi energetici tra i diversi Paesi dell’Ue, non ha ancora indicato quale può essere concretamente una modalità per superarle, a partire dalle interconnessioni delle reti su cui non sono stati compiuti significativi passi avanti. Anche qui, come nel caso delle auto, sembra mancare una presa d’atto della realtà e una strategia conseguente.
Dunque, Draghi ha sì “punzecchiato” gli Stati membri, per esempio quando ha detto che i cittadini europei “temono che i Governi non abbiano compreso la gravità del momento” e quando ha parlato di “sostegno incerto degli Stati membri”, ma ha implicitamente criticato anche l’azione della Commissione europea…
Sì, Draghi ha preso di petto due aspetti. Da un lato, il fatto che “l’Europa deve iniziare ad agire meno come una confederazione e più come una federazione”, cosa non semplice quando ancora c’è la regola delle decisioni da prendere all’unanimità. Dall’altro, ha messo il dito nella piaga su quello che è il lavoro della Commissione europea. Per esempio, quando, riferendosi alle iniziative per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie, ha detto che “l’attuazione deve essere affidata a project manager esperti, non a burocrati”. In fondo, quindi, una delle origini delle difficoltà in cui si trova l’Europa è la stessa Commissione.
Adesso cosa potrà accadere dopo questo “appello finale”? Difficile immaginare che tra un anno ci sia una nuova conferenza per fare il punto sull’attuazione del Rapporto Draghi.
Sarebbe ridicolo. Non avremo un’altra occasione per dire a che punto siamo arrivati. Pensiamo solo al fatto che, come ha detto Draghi, se un anno fa si stimavano come necessari 800 miliardi di investimenti annui, oggi siamo arrivati a 1.200. Dunque, l’Europa deve trovare il modo di dare delle risposte concrete e di superare le difficoltà in cui si trova, che riguardano anche il lavoro della Commissione, che risente delle vischiosità che le impediscono di muoversi nella direzione indicata da Draghi, che la von der Leyen al fondo condivide.
Questo dipende da come è costituita la maggioranza che sorreggere la Commissione?
Oggettivamente questo è un momento complesso per il sostegno politico retrostante la Commissione, basato sull’accordo tra Ppe e S&D e sull’asse portante franco-tedesco, a rischio erosione visto quel che sta accadendo in Francia. Questo rende più difficile il compito alla Commissione nel trovare una sintesi operativa. Forse la von der Leyen dovrebbe approfittarne, visto che è anche al secondo mandato e non ha niente da perdere, per voltare pagina, per accelerare, cavalcando anche con più decisione i momenti di frattura, di complessità politica dei rapporti all’interno di una Commissione che non può più galleggiare.
Va evitato il rischio di una Commissione che arrivi a fine mandato, ma senza cambiare nulla, vivacchiando…
Oggi vivacchiare, soprattutto rispetto alla situazione internazionale, specie ai confini orientali europei, non è più possibile.
C’è il rischio che la necessità di affrontare i temi relativi alla difesa e alla sicurezza facciano passare in secondo piano i problemi dell’economia europea?
Sarebbe un errore avanzare con piglio indomito sulla questione della difesa e far finta di nulla sulle conseguenze del Green Deal piuttosto che sulla scadenza del 2035 per l’industria automobilistica. A me pare che la critica di fondo di Draghi sia relativa al fatto che dopo aver visto che i risultati sull’attuazione del suo Rapporto sono decisamente insoddisfacenti è ora che l’Europa svolti.
Anche nel modo con cui finora si sono tenuti vertici europei, con tanti temi all’ordine del giorno e poche decisioni magari su uno solo di essi?
Esattamente. In questi vertici abbiamo visto anche il rinvio di decisioni sui temi in cui sono maggiori i disaccordi per enfatizzare le intese, spesso molto generiche, raggiunte su altri argomenti: non può più funzionare così.
(Lorenzo Torrisi)
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