Nell’Europa dei 27 si producono ogni anno circa 250 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani e, sebbene si intravedano i primi segnali di stabilizzazione, in molti Paesi le quantità prodotte sono ancora in crescita.
La recente Direttiva europea quadro sui rifiuti (2008/98/CE), che gli stati membri dovranno recepire entro la fine del 2010, colloca al vertice della gerarchia della gestione dei rifiuti la prevenzione e la preparazione per il riutilizzo. Seguono il riciclo e il recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia, mentre lo smaltimento è indicato come l’ultima opzione da scegliere in sede normativa e politica.
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D’altra parte è abbastanza chiaro che i rifiuti non sono una risorsa bensì un problema di cui si farebbe volentieri a meno. Possono però in qualche misura rientrare nell’ambito delle risorse attraverso azioni di recupero, con dei vantaggi in campo economico e soprattutto ambientale. Si tratta allora di stimare le potenzialità di tale recupero così da orientare le azioni nella giusta direzione fin dalle prime fasi del ciclo di vita di materiali e dei conseguenti rifiuti.
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Per l’Italia ci hanno pensato il Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC), Ecocerved e Unioncamere che hanno realizzato la ricerca “E=mc2 – Energia da rifiuti in Italia: potenzialità di generazione e contributo alle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici”, sotto il coordinamento scientifico di Carlo Carraro, Rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
L’obiettivo era analizzare se e in quale misura il recupero di energia dai rifiuti possa contribuire al conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra per l’Italia, negoziati a livello europeo nell’ambito della strategia nota come “20-20-20”.
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L’analisi è stata condotta utilizzando una nuova versione del modello di equilibrio economico generale computazionale recursivo-dinamico noto come ICES e ha considerato, in particolare, la produzione di energia elettrica – settore responsabile di circa un quarto delle emissioni complessive – e ha valutato sia la potenzialità di generazione sia il ruolo economico della valorizzazione energetica dei rifiuti (termovalorizzazione e biogas), con orizzonte temporale al 2020.
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Dal punto di vista energetico, secondo gli estensori dello studio, è ragionevole ritenere che nel prossimo futuro termovalorizzazione e biogas continuino a costituire una quota del tutto minoritaria degli input energetici del settore elettrico: circa 2% per la termovalorizzazione e 0,6% per il biogas. Mentre però la termovalorizzazione potrebbe comunque evidenziare dei trend di crescita interessanti (18% o 12% nel periodo 2007-2020), la captazione da biogas – in particolare in uno scenario di crescita economica contenuta e di sempre minor ricorso al conferimento in discarica – potrebbe ridursi gradualmente (- 3,2%).
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Pur in questo quadro di marginalità, soprattutto la termovalorizzazione può giocare un ruolo in un contesto di politiche di mitigazione. Ad esempio, il minor impatto negativo sul Pil derivante dalla disponibilità di un’opzione aggiuntiva per la generazione di energia elettrica, può essere quantificato in circa l’1% dei costi totali della politica di riduzione della CO2, (a loro volta circa l’1% del PIL nazionale), ovvero, in termini assoluti, in circa 87-122 milioni di euro su base annua.
Anche se può essere considerata ottimistica, la ricerca ha il pregio di indicare il massimo di quel che si può fare per ridurre l’impatto dei rifiuti. Al di là dei numeri, l’aspetto più convincente riguarda la possibilità reale di intercettare quei rifiuti che non si può evitare di produrre e che finirebbero in discarica.
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(Michele Orioli)